C’è questa canzone che mi fa muovere le viscere. Muove un pianto che, trattenuto forse dal dolore, fatica a uscire.
L’ha scritta un ragazzo di Roma, anche se le sue parole provengono probabilmente da un luogo ben più lontano e meno definito. Forse l’anima, o comunque da quelle parti lì.
Dice che guardando il mare, gli viene una gran voglia di nuotare, senza, però, che la paura degli abissi nascosti lo freni. E dice poi che guardando una nuvola in cielo, il nuoto si trasforma in volo e che, questa volta, è il timore delle vette più alte a farsi da parte. Così nuota e vola, e lo fa senza più paura.
E anche se dovesse arrivare la pioggia, bhe lui ormai si sente forte, così forte da saperne fare occasione per aspettare il sole.
C’è questa canzone che si chiama Pace e che, essendo una canzone, non funziona se raccontata, ma che ad un certo mette insieme quattro parole: “se me ne andassi lontano…”.
Se me ne andassi lontano mi sentirei di certo più figo. Mi sentirei più libero di essere me stesso. Più libero anche di recitare un personaggio. Se me ne andassi lontano potrei ritornare avendo qualcosa di interessante da dire. Se me ne andassi lontano potrei raccontare la mia storia a tutte le persone nuove che incontrerei sulla via. Se me ne andassi lontano poi, come dice Quomo, non escluderei un ritorno al caos. Al caos dal quale forse mi sono abituato a fuggire. Perché andare lontano è molto più facile che restare, specie quando non si mette in valigia sé stessi.
Autosabotaggio
Ho ripreso a mangiarmi le pellicine delle dita, ho ripreso a farlo con violenza. Con la violenza di chi si aspetta qualcosa che puntualmente fallirà.
“Secondo me tu non sei un coglione. Io lo chiamerei autosabotaggio.” Avessi potuto avrei fermato la macchina in mezzo alla strada, e sarei sceso per piantare i miei piedi sull’asfalto ad ergere un monumento a quel vecchio Jacopo che ormai aveva riconosciuto sé stesso.
Quelle erano le parole di Rossella: una grande ascoltatrice, e quindi anche una grande amica. Ci siamo visti prima che partissi per la Grecia ed ho parlato io, sentendomi naturalmente in colpa per averlo fatto. Rossella però questo già lo sapeva e con quelle colpe ci ha ricamato un abbraccio, anzi due: come una linea e un puntino che chiudono con un punto esclamativo un congedo di piacere.
Perché andarsene lontano e autosabotarsi in fondo potrebbero essere separate da un’ “e” accentata, anziché da una congiunzione. E l’ho scoperto dopo averla ascoltata in loop quella canzone. L’ho scoperto dopo aver parlato solo io. L’ho scoperto nelle parole di un’amica.
Intanto adesso prendo un aereo. Vado lontano. Con la valigia un po’ pesante questa volta.