Appena sono arrivato in Grecia non funzionava la metro. Un messaggio mi aveva anticipato l’eventualità di un grosso sciopero ma la mia diffidenza, materializzatasi nelle pagine Google News Greece, non diceva nulla a tal proposito.
Dopo più di un’ora di cocciuta attesa, e dopo aver incrociato lo sguardo di altri due viaggiatori appena atterrati ad Atene, tutti e tre abbiamo deciso di dividerci le spese di un taxi, direzione Syntagma: io, un ex manager di una multinazionale cinese appena licenziatosi per diventare bartender, e un’avvocatessa dall’aria gentile e premurosa.
Da Syntagma alla casa di Sofia mi è poi bastato digerire il rifuto di un secondo tassista e le parolacce in italiano di un terzo tassista, tifosissimo dell’Olympiacos.
Appena chiusa la porta della macchina ho sentito, provenire dall’altro lato della strada, aprirsi un cancello, e poi un improvisso e inaspettato “benvenuto!”.
Era la voce di Sofia, un’amica di un’amica, offertasi di ospitarmi per un paio di notti nella casa del fidanzato, a nord-ovest di Atene.
Sicuramente un posto
“Are you excited?”, mi ha chiesto Dora poco prima di salire sul van che da Koutsopodi ci avrebbe portato ad Hopeland.
Ci siamo abbracciati e poco dopo, con un po’ di vergogna, le risposto “no”. Non ero eccitato all’idea di trascorrere un mese tra le alture del Peloponneso con una ventina di altri giovani: non ero eccitato perché pensavo che forse sarebbe stata una perdita di tempo, e che a 27 anni, di tempo, é meglio perderne poco.
Hopeland é una comunità, forse un ecovillaggio, forse un’associazione, sicuramente un posto. Un posto dove sparse si intravedono alcune casette e tutto intorno un colore, uno solo, con le sue infinite tonalità: il verde.
Insieme a me, su quello stesso van, c’erano Alessio, dalla Sicilia, Kostantin, dalla Lettonia, Anastasia, da Atene, e Gonzalo (Spagna) e Dora (Ungheria) a farci da “guide”.
Mentre scherzavo con quelli che sarebbero poi diventati forse amici, forse compagni di viaggio, mi costruivo dentro una sensazione di disagio: “Hai troppe valigie Jacopo. La gente penserà che sei un materialista, viaggiatore dilettante, poco propenso all’avventura…”, e tutta una serie di etichette utili a qualche subdola funzione del mio ego.
Provavo invidia per i loro zainoni da pellegrini e rimpiangevo di aver lasciato il mio a casa. Ho ancora bisogno di immagine e la valigia mi offre più spazio per le mie eccentriche camicie, le felpe over-size e la costante ricerca di consensi.