“Perché dobbiamo sminuzzare l’organico? Negli altri posti in cui sono stato, gli scarti alle galline, li gettavo direttamente così com’erano.”
“You mean why we are making the porridge?”, aveva risposto, forse un po’ aspettandosi quella domanda, Steph.
“Yes. I mean, I’ve never done something like this…”, e sicuramente dietro tale curiosità si celava una sorta di rifiuto verso quella che, per le mie mani costantemente gelate, era una tortura. Erano le 7:30 del mattino e dopo che il gallo e la sveglia avevano fatto a gara per strapparmi dal mondo dei sogni, mi ritrovavo a dover immergere le dita in quella poltiglia di resti di frutta e di verdura.
“Because these chickens, they come from an intensive livestock, and they cut their…”, e non sapendo la parola in inglese, Steph mi stava indicando la parte superiore delle sue labbra.
C’era una logica nelle cose: nel perché mi fossi dovuto svegliare presto quella mattina, nel perché l’organico necessitava di essere sminuzzato, mentre sentivo la parte superiore della schiena tutta bloccata e il pensiero pendolava tra l’immagine di un ragazzo lasciato a letto e il colore sempre più violaceo delle dita, quando fuori, un timido sole iniziava a ravvivare la natura.
C’era una logica, che però ancora mi sfuggiva.
Cheers gays!
Nafplio é una cittadina con un’entrata ed un’uscita. Si riconosce subito che l’uomo moderno ha messo mano alla città vecchia rendendola più attrattiva ed ospitale verso i turisti che, trovatisi su questa porzione di costa del Peloponneso, la preferiscono all’altra città, Argo.
Il centro si lascia camminare, tanto da innestare il dubbio che la sua urbanistica sia stata studiata apposta per fare coincidere il sopraggiungere di un leggero appetito con un mosaico, apparentemente casuale, di quelle che qui chiamano taverne.
Eravamo in 17, ma il tavolo contava quasi un centinaio di piatti. Lo chiamano meze (dal persiano mazidan, che significa “assaggio”): un po’ di tutto, tutto insieme, servito in piccoli piatti da condividere, anticipati da un assai pericolosamente buono, bicchiere di Ouzo.
Melanzane, aglio e formaggi. La maggior parte dei piatti ruotava attorno ad uno di questi ingredienti. Vite precedenti, sesso e tradizioni. La maggior parte degli argomenti ruotava attorno ad uno di questi temi.
A Nafplio poi c’é anche il mare. Un mare tutto sommato docile visto il forte vento. Alessio conosceva la “classica” strada alternativa così, anziché andarci al mare; ci siamo limitati a guardarlo per un mezz’oretta di camminata, durante la quale la colla che teneva unite quelle 17 persone a tavola stava iniziando ad allentare la presa.
Piccoli gruppetti, tante coppie, alcuni trii: dopo tanto vivere insieme, un po’ tutti forse sentivamo il bisogno di una chiacchierata o di un ascolto più personale.
A Grenoble, per esempio, c’é un edificio abbandonato su uno dei punti più alti della città, dove Gagoù e altri amici, avevano dato vita ad una sorta di rave pomeridiano, con casse di musica e di birre.
Emile invece, seduto accanto a me su uno scoglio lontanto da tutti, scopriva che ero attratto da lui, mentre insieme disegnavamo ciò che il nostro rapido sguardo riusciva a trattenere di quello scorcio di spiaggia.
Poi Giulia e Turi, indecise se piangere o parlare. Flo che leggeva, Alex che suonava la chitarra e Niki un po’ più isolata a guardare il mare. Chissà chi tra loro era innamorat*, chi non vedeva l’ora di tornarsene a casa e chi invece godeva anche solo dello starsene con i piedi nudi sulla sabbia tiepida. Tra le tre io ero forse il primo, sicuramente non il secondo e, visto che avevo ancora le scarpe addosso, neanche lontanamente il terzo.
A Nafplio infine c’é anche un tavolo. Rotondo, di legno, con da una parte un divanetto e le restanti occupate da sedie. La spiaggia si era ormai svuotata e 9 tra noi avevano riempito il van per tornare a Hopeland. Io, Giulia, Gagoù, Emile, Turi e Flo siamo rimasti a Nafplio, facendo dell’attesa che il van ci venisse a prendere occasione per uno scontatissimo aperitivo. Birre bionde due, limonata una, coca-cola una, energy drink a base di burro d’arachidi uno, sidro uno: si poteva fare aperitivo senza bere alcool, si poteva stare senza dimostrare.
Gossip: un po’ di sano gossip.
“I think that in this group no one is straight.”, aveva affermato Giulia senza vergogna.
Per un attimo ci siamo guardati in faccia nell’attesa che qualcuno prendesse la parola, o forse stavamo soltanto realizzando lo stesso, solo con una parziale forma di ritardo.
“I’m not”, Gagoù.
“Me neither”, Giulia.
“C’mon guys…”, Emile.
Toccava a me. Ansia, poca, ma pur sempre ansia. “Non scappare Jacopo, non più, non ora.”, mi diceva la mia mente, o forse il mio cuore.
“I have no clue, but for sure not straight”, con orgoglio, per la prima volta, Jacopo.
“If I have to define myself, I would say pansexual”, Turi.
“Well, I’m 100% with you people”, Flo.
“Woooo, a Queer table! Cheers gays!”, con un tono acuto, femminile, tagliente. Con un tono queer: Giulia era brilla, Giulia era bella, Giulia era a suo agio, come tutti noi.
Silenzio. Io ero in silenzio. La mia bocca non emetteva nessun suono, la mia mente tantissimi. “Trova il coraggio Jacopo”, sempre quella voce che faceva la spola tra il cervello e il cuore.
All’improvviso un respiro diverso dagli altri: “I wanna say thank you people. Really, thank you.”, tentando di cammuffare la voce un po’ tremante. “Thank you because I feel safe. For the first time I feel I’m belonging somewhere, or with somebody. I’m part of this community, and yeah, I don’t feel judged at all. Actually I feel seen: you people are honestly curious. You know, in Italy, with my friends, everything is ok, but still I can perceive kind of embarrassment: I can be gay, or whatever, but nobody wants to talk about it. Nobody is asking me about that guy, or that guy. Everytime that I come back from a trip, there’s always the same question: girls? kisses? sex?… Well, I’m so happy here. I’m so safe. Thank you.”
Silenzio. Cheers.
La mano di Emile stringe la mia: appertengo. I belong.