“Io vorrei lavorare la terra, strappare l’erba… attenta solo a non rovinarmi le mani e distruggere il suolo. Che poi il suolo un po’ lo distruggi. Di giorno nei campi, la sera a mangiare, a bere, a dormire e, se hai la forza, a fare l’amore. I bisogni primari soddisfatti. Tutto il resto è strippare. La città è strippare. I musei? Ma che me ne faccio dei musei? Mi devo dare una calmata. Che fretta c’è? Se però penso a cosa voglio fare, la situazione è molto più tranquilla.” , poi c’era stato del silenzio. Forse Giulia si stava interrogando sull’effettiva tranquillità della situazione, salvo poi rinsavire e riprendere il suo dialogo col mondo: “Mi sembra che la mia vita sia già finita. Ho 25 anni e non ho mai lavorato, non ho un master, non ho un’idea. Che me ne faccio di questo quarto di secolo?”
L’avevo sentito una serie pressoché infinita di volte questo discorso.
La città come alienazione.
Il panico come situazione.
L’età come termine di paragone.
E poi l’IO come punto fermo di indagine e speranza.
Racconta i fatti
“Racconta i fatti”, mi diceva Trevor, lo scrittore americano incontrato a Spannocchia.
I fatti.
Ma se non faccio nulla, come faccio a raccontare i fatti? Se resto immobile, anzi mi muovo un sacco, che poi è la stessa cosa, come faccio a raccontare ciò che non faccio?
Allora torno dentro. Torno alle sensazioni. E’ lì che mi rifugio, dicendomi che anche loro sono fatti.
Per la prima volta mi ritrovo con davanti a me il vuoto. Da metà giugno sarò senza alcun impegno. Non un viaggio, non un lavoro, non un biglietto del pullman, un sogno, un progetto, un’intenzione. Niente.
Tornerò a metà giugno dall’Umbria con davanti a me il tempo a prendersi gioco della mia indecisione.
“E’ un periodo che le parole mi imbarazzano.”, mi avrebbe detto Giulia qualche giorno dopo quel suo ultimo sfogo.
Io ero in mutande, nell’ingresso, a fare stretching.
In mutande, nell’ingresso, a fare stretching, che mi sforzavo di ascoltare.
“Anch’io”, avrebbe allora detto il custode della mia testolina.
Eppure mi giudico. Perché se sono uno scrittore non posso imbarazzarmi di fronte al vuoto delle parole. E se sono un essere vivente non posso allora imbarazzarmi di fronte al vuoto che da metà giugno mi si presenterà davanti.
Scorro col cursore verso l’alto per vedere se ho scritto abbastanza, così da mettere a tacere il senso del dovere, o di identità.
“Racconta i fatti”.
Io non ho memoria.