“È inutile che la leghi la bici. Qui in Sardegna non te la ruba nessuno: fa troppa fatica!”
E così com’era apparsa, quella voce, era svanita, sopraffatta dal rumore di un motore non più aitante.
Ero forse a un terzo del viaggio, non lo so, ma di certo mi stavo muovendo da Villaputzu a Geremeas. Giusto qualche discesa e del falso piano a favore per un superare un paio di paesi e poi la prima sosta al panificio di Muravera.
“La cosa più sarda che avete.”, domando mentre sono ancora intento a slacciarmi il casco.
“La pizzetta sfoglia!”, a tono la ragazza da dietro al bancone.
“E sia!”, giusto il tempo di pronunciare il verdetto che: “anche se sta focaccia bella lievitata… no, pizzetta sfoglia!” Indecisione, divorami il fegato.
Poi tavolino, sia mai che ci trovi la Gazzetta dello Sport. Solo Unione Sarda, e allora Cagliari, mister Ranieri, ritiro in Val d’Aosta, poi Asseminello e il 12 arriva il Palermo, che ormai so tutto dei rosso-blu.
Infine la medesima prassi ma al contrario: casco, guanti, lucchetto e quella insospettabile battuta: “…fa troppa fatica!”, che mi aveva tolto finalmente quella patina di diffidenza nei confronti dei sardi e della Sardegna.
Robert, docente di viaggio
Io a Sant’Antioco non ci volevo arrivare.
Io non volevo arrivare da nessuna parte.
Ero stanco. Le mie gambe erano stanche. La mia testa era stanca.
Volevo solo fermarmi, magari vicino a un porto, e imbarcarmi verso Genova e poi dritto a casa.
Il viaggio in bici si stava facendo sfida che non ero pronto ad accogliere.
“Cosa vuoi dimostrare?”, la domanda più ricorrente della mia mente, alla quale la non-risposta rendeva più pesante ogni pedalata.
Vedevo tutto nero. Il caldo, nero. Il Maestrale, nero. La solitudine, nera. I meno sul conto, rosso.
Mettiti su una panchina Jacopo. Qui di fronte al Conad. Pane di pasta dura, quello buono, una mozzarella, 100g di mortadella, mangia, bevi acqua, tanta, e dormi.
Eseguo, testolina mia. Che io a Sant’Antioco non voglio andare.
“Hey!”
Apri gli occhi Jacopo.
Di nuovo: “Hey! Nice bike!”
Svegliati. In inglese, rapido.
Avevo visto prima un’ombra, poi lui, e solo dopo la bici.
“Robert. Nice to meet you!”
“Jacopo! Robert, from?”
“The Netherlands, you?”
E ti pareva…
“Italy”
E intanto si era seduto sulla porzione di panchina libera e aveva iniziato a tagliare la banana per poi metterla nello yogurt.
“It’ll be my breakfast.”
Lo vedi? Esperienza.
E allora via a parlare, che pare funzioni così quando due bici piene di zaini si incontrano.
Robert ha quasi 60 anni, dei quali almeno 15 in bicicletta: Brasile, Israele, Pakistan, Usa from west to east, adesso Sardegna, ma soprattutto tanta tanta meraviglia.
Nel suo parlare e curiosare tra le mie di parole, ha gettato qua e là tante belle frasi: chicche che su un articolo poi, avrebbero avuto quell’effetto profondo e illuminante che sono solito cercare.
Robert però ha fatto molto di più con i gesti: godendosi quella siesta sulla panchina e poi pedalando insieme a me verso la tanto agognata Sant’Antioco, che io non ci volevo proprio andare, ma lui mi ci ha fatto venire la voglia.
La sosta per un caffè, l’uva rubata, il gelato come ricompensa, l’incontro col pastore… lui che l’italiano niente, e l’inglese che qui è una chimera. Ma Robert mai fuori posto, mai fuori, ma tiratosi fuori. Grande lezione per uno che si sentirebbe escluso al primo spostamento di sguardo. E grande lezione poi la sera, in una condivisione continua di racconti e pastis. Perché Robert é un matto di quasi 60 anni che ogni tanto pedala, senza aspettarsi nulla, ma godendo semplicemente di ciò che viene, che sia una panchinetta all’ombra o una una tappa pedalata in compagnia.
Lui, io, le nostra bici, del latte di pecora e una fiaschetta di pastis.
Così siamo arrivati a Sant’Antioco.
Ho fatto un bagno.
Sono stato bene. E ci sono rimasto in Sardegna.
Ciao Robert, grazie.