“Sono contento di rivederti.”
“Sono contento che per un po’ non ci siamo visti.”
“Anche io.”
Era stato uno scambio, forse azzardato, ma giusto, quello tra me e La Julienne, al km 6 di un’improvvisata corsetta al parco de Le Vallere. Erano 6 mesi che non ci vedevamo: l’ultima volta era stata quando vivevamo ospiti della Tenuta di Spannocchia nel senese.
Nonostante il fiato spezzato dal ritmo della corsa, non avevamo resistito nel darci vicendevolmente degli assaggi di quell’ultimo periodo: lui un po’ a casa un po’ in America; io tra la Grecia, Torino, l’Umbria e la Sardegna.
Perché vedersi, anzi rivedersi, era bello sì, ma anche il non averlo fatto per così tanto tempo lo era stato, prendendosi entrambi il diritto di sentirsi persi e di ritrovarsi senza il supporto incondizionato dell’altro.
Mussy sur Seine
Sono in Francia, a Mussy sur Seine, un paesino ad un’oretta a Sud di Troyes, che a sua volta si trova ad un’ora, quasi due, a sud-est di Parigi.
Il mio secondo anno di vendemmia pare una passeggiata di salute rispetto al primo. Dormire in un castello mi fa venir voglia di indossare coppole, accavallare le gambe e bere un po’ dello champagne che io e gli altri 10 scanzonat* prima, 8 poi, abbiamo aiutato a produrre.
La schiena, durante la vendemmia, sembra ripercorrere con minuziosa appartenenza le canoniche fasi del lutto.
Prima nega lo sforzo, dimenticandosi della sua funzione di supporto nel ruolo evolutivo e posturale della specie: “animale bipede implume”, avrebbe detto la mio professoressa di filosofia. Trittico di parole che, dopo ore e ore di taglio dell’uva tra i filari, ha catturato la mia attenzione, ricordandomi che quel mio essere piegato, accovacciato o strisciante, mi rendeva tanto distante quanto raro nel mio non essere più uomo.
Alla negazione segue la rabbia: la schiena ribollisce e inizia a mandare segnali di fuoco, Charmander scelgo te, a tutto l’apparato muscolo scheletrico. La smorfia raggrinzita delle labbra ogni volta che ci si solleva tra i filari per scaricare il panier pieno d’uva nel cassone che pieno d’uva sarà, dimostra lo strapotere del dolore sul tentativo di controllo dello stesso.
Dopo la rabbia arriva la paura e soprattutto la depressione: “ho quasi 30 anni, cosa ci sto a fare spezzato in due in vigna con 35° a raccogliere uva? Sono un fallito. Il prossimo anno col cazzo che ci torno a vendemmiare! Mi odio. Ti odio. Odio anche te Giulio-con-la-i che sei davanti a me tagliare uva. E te Camilla che sei dietro. Tutti e tutte. Ma me stesso e la mia schiena un po’ di più.”
Fine del baratro. Tristezza.
Seduto tra i filari alzo lo sguardo: una leggera pioggerellina bagna i miei pantaloni cerati e imbrattati di polpa d’uva schiacciata. Davanti a me un bosco di pini. Non l’avevo mai visto. Non lo ricordavo più. Metto della musica classica e il taglio si fa melodia. Manca il ritmo, ma c’è continuità, manca il controllo, ma c’è fluidità. In fondo, per quanto tagliare uva sia noioso e ripetitivo e stancante e debilitante, vedo la luce in fondo al tunnel. La mia schiena accetta, perdona e come recita l’ultima fase del lutto: ricerca un senso di rinascita.
Io intanto mi sollevo da nascosto tra i filari, afferro la cesoia tra i denti e mi godo le schiene degli altri e delle altre scanzonat* che condividono questo romantico massacro con me.
La Julienne, Giulia, Giulio-con-la-i, Giuse, Camilla… Ho rinunciato a chiamarl* per nome, un po’ per pigrizia un po’ perché la noia si miscela sempre molto bene alla creatività. Sono belle persone, addirittura ogni tanto ci abbracciamo. Ho raccontato loro la storia della mia vita, e poi li ho ringraziati per il disagio e l’attenzione regalatemi.
Se oggi, al settimo giorno di vendemmia, dicessi che sono a fare la vendemmia, mentirei.
Sono a conoscere gente e tagliare uva.
Conoscere me stesso e tagliare uva.
Osservare, patire, esercitare la leadership e tagliare uva.
Cantare e tagliare uva.
Litigare con Lag e tagliare uva.
Ascoltare bestemmie inventate in francese e tagliare uva.
Scrivere, con la coppola e le gambe incrociate, e pensare che sì, fra qualche ora sarò a tagliare uva.
Io, un tot di scanzonat* e una valigia colma di sensazioni contrastanti.