“Perché te lo dico io!”.
E potrebbe essere la chiosa di praticamente la metà delle potenziali discussioni con mio zio Mimmo.
Io lo osservo con curiosità, dalla sedia all’angolo del tavolo: diametralmente opposto a lui. Lo osservo dal punto più lontano di quello stesso tavolo, che a suo dire, e anche a suo fare, ci avvicina. Lo osservo e mi domando: “ma come fa?”
E mi viene una gran voglia di un film di Sorrentino.
Nostalgia canaglia
Non sapevo che in fondo fossi un affezionato bevitore delle sere settimanali. I weekend mi sanno di troppo. Troppe le cose da fare. Troppa l’attesa. Troppa la pressione nello scegliere cosa indossare, quale personaggio essere, se volersi innamorare…
Le sere settimanali (quelle che vanno da domenica a giovedì per intenderci, con la domenica e il giovedì a ricalcare perfettamente quel vetusto concetto di stati cuscinetto, che il CongressodiViennamilleottocentoquindici ancora me lo ricordo, stampato lì al primo capitolo del libro di storia di quinta liceo. E allora vallo a capire come mai ci sono dei punti fissi impigliati nell’intricato meccanismo della memoria: 1209 Crociata contro gli Albigesi, 202 battaglia di Zama, Italia-Usa 1-1 (Gilardino-aut. Zaccardo)… e altri minuscoli dettagli che sembrano essersi incastrati come rami tra qualche pietra posta qua e là sul letto del fiumiciattolo: l’acqua che continua a scorrere e loro che col tempo sono diventati un pochettino più grandi, avendo agganciato a loro foglie e legni che passavano da quelle parti.) sono più belle perché più intime. Le sere settimanali, ma anche la domenica nel tardo pomeriggio, raccontano di una tensione reciproca verso l’incontrarsi. Perché starsene a casa sarebbe la prassi, mentre l’uscire, il prendere freddo/caldo/pioggia/temperaturagiustasenticomesistabene invece è movimento, energia, spinta propulsiva verso l’altro. Mi piacciono le sere settimanali, mi ci riconosco, e attraverso di loro conosco anche un po’ più di me stesso.
È passato il 27 ottobre e l’ho celebrato alla mia maniera: contradditoria.
Perché il 27 ottobre 2020, notte di luna piena, segnò uno spartiacque e come tale, nel suo dividere, fa zip tra due lembi della stessa giacca. Così se tre anni fa c’era un prima e c’era un dopo, così questo 27 ottobre: dal giorno silenzioso e dalla notte a buttarsi via.
È passata anche una montagna, da solo, come è giusto che sia quando vi è un apoplettico rifiuto verso la programmazione. Sudore e montagna, nonostante con quel venticello abbia temuto una ricaduta profonda nei meandri delle mie debolezze. E invece no. Così mi sono preparato: sostituendo maglietta sudata con maglietta asciutta, concedendomi pure una siesta su una pietra. Montagna da solo, che forse andrebbe scritto tutto attaccato vista la sue verve identitaria. Ma questa è deliranza e oggi voglio essere focus, perché ciò che è passato poi fa presto a essere dimenticato.
Ed è passata pure la notte di Halloween, che stavano tutti in giro mascherati, in preparazione della grande festa. Le locandine inneggiavano alla creatività, mentre le più ardite vi abbinavano di fianco addirittura la parola libertà. E me la immaginavo la gente a prepararsi in funzione dell’evento: domandandosi dapprima da cosa travestirsi, poi con cosa travestirsi e in ultimo esercitando quelli stessi diritti (creatività e libertà) in una notte di musica alta e balli sfrenati. Belli, loro. Io però non avevo voglia del “tanto”, così me ne sono andato comodo comodo al cinema (proprio comodo comodo no, poiché piuttosto trafelato causa indecisione cronica che mi ha fatto tardare la partenza da casa e difficoltà nel trovare parcheggio), a vedere Io Capitano. Caro Garrone, qui hai osato assai.
Infine è passata una lunga lista di cose da fare: trattoria da Carmen, calcetto, Rocciamelone, gelateria a Rivarolo, funghi, funghetti, mezza maratona… via: salita ormai su quel maledetto treno che ti ritrovi a salutare col fazzoletto bianco dalla banchina, e che dopo qualche metro svanisce tra i fumi neri del carbone incenerito. Perché è passato Maurino, quello di Pace (che intanto siamo diventati amici e abbiamo bevuto tanti, ma tanti, bicchieri insieme, e ci siamo scambiati tante, ma tante parole vacue, e forse ancora troppi pochi abbracci), ché quella lista l’abbiamo scritta a quattro mani, ma due sole, nei prossimi mesi, avranno l’onere di custodirla.