Quando uscirò dal bosco sarò un uomo nuovo, ripulito, ricaricato.
Menzogna.
Sono lo stesso di sempre. Sempre distratto e appesantito dalle aspettative. Cammino al freddo, con le scarpe scamosciate nella neve e qualche chilo stipato nello zaino, ripercorrendo i medesimi sentieri che ero solito battere quando in quello stesso bosco ci vivevo.
Lascio la bici dove l’ho sempre lasciata e mi incammino. Conosco tutto di quel luogo, e tale anticipazione della ricerca intercetta il flusso di una potenziale meraviglia. Alberi, arbusti e ancora alberi… giro a destra, sbaglio: non alla prima, ma alla seconda, quella meno battuta. È lì che si trova the office, il mio “studio” adagiato su un letto di muschio dallo stile estremamente minimalista. È lì che andavo a riposare, suonare, scrivere, esercitare i miei superpoteri di uomo/donna/bambino invisibile. È lì che, per un attimo, ritorno presente.
Respiro. Accarezzo la corteccia del solito albero al quale mai ho chiesto il nome. Sento la morbidezza del tappeto verde sciolto ai miei piedi.
È un attimo.
Solo un attimo.
E ritorno a pensare: “Quando uscirò dal bosco sarò un uomo nuovo, ripulito, ricaricato.“
KLM Royal Dutch Airlines
Mentre mostro, con l’imbarazzo che caratterizza gli insicuri, al mio vicino di sedile lato corridoio che, quello vicino al finestrino, è il mio posto, noto in lui un non so ché di rassicurante.
Parte l’aereo e io mi metto subito a dormire.
A, pressappoco, metà del viaggio sono stanco di svegliarmi ogni qual volta mi cade la testa, così desisto e inizio ad osservare quel caldo personaggio.
Osa Jacopo. Osa. Ti sei già dimenticato come si fa?
Un respiro. Due.
“Posso essere inopportuno?”, rompo il silenzio.
Passa del tempo: l’uomo non era affatto pronto a tale interruzione.
“Mi scusi?”, replica lui, pescando le prime parole dal manuale di gestione degli eventi inaspettati.
“Mi perdoni se le sembro inopportuno, ma volevo chiederle: lei è uno scrittore?”
L’uomo, dalla mia visuale estremamente ravvicinata e esclusiva al solo lato destro della sua persona, portava con sé un vago andamento da amico di penna. Giorgio Faletti: ecco a chi somigliava. Capello raso, bianco d’un bianco coerente con l’incarnato del viso, orecchino sul quale le fantasie di una gioventù divorata a morsi si rincorrevano energicamente, mani ferme a sostegno di un libro scritto in inglese da poco iniziato, e un fare così sicuro da sembrare fermo e impassibile al mondo.
“Io? Oh no. Mio fratello era un scrittore.”, nascondendo maldestramente un’apertura alla quale mi sarei certamente appigliato. “Ma come mai questa domanda?”
“Niente, appena l’ho vista ho subito pensato che lei fosse un personaggio interessante: magari uno scrittore, o un’artista…”
E salvandomi da un imbarazzante silenzio, l’uomo aveva subito ripreso la conversazione: “Sì, sono un appassionato d’arte in effetti. Colleziono pezzi. Sto proprio adesso tornando da Berlino dove, deve sapere, che ci sono certe esibizioni che qua in Italia ci sogniamo. Vi è un coraggio che qua pare essere stato sepolto a Santa Croce o giù di là. I bagni, per esempio. I bagni sono essi stessi luoghi espositivi, dove la sacralità del gesto fa a gara con la sacralità della rappresentazione. E chi, allora, facciamo scendere dall’altare in creanza di una più equilibrata profanità? Il dipinto o la defecazione? Me lo dica lei, giovanotto. Mi risponda.”
Ma quella risposta non sarebbe mai arrivata: Valter, così si chiamava il mio vicino di sedile, aveva tempi e modi di dialogo lontani dai miei. Il suo era un incedere troppo assennato perché immaginassi soltanto di riuscire a mantenerne il passo.
In un attimo ci saremmo ritrovati a terra, felici entrambi di aver contribuito alla piacevole scoperta delle potenzialità di un volo economy della KLM Royal Dutch Airlines.