FELICITÀ vs CINISMO

da | Apr 1, 2024 | Aprile 2024

“Uè Maurì! Oggi ti starò sul cazzo! Sono felice!”
“Ah bella, allora pur’io ti starò sul cazzo me sa.”
“Pure tu sei felice?”
“Ma manco per niente.”
“Ah ecco.”
“Punto. ‘Ndo vai? Stamocene a casa.”
“C’è il sole Maurì! Voglio andare a prendere dei carciofi. C’è il mercato oggi?”
“È Pasquetta, Ja. Ma figurati.”
“Vabbè dai, andiamo. Al massimo ci facciamo una giratina in macchina.”
E intanto Maurì m’aveva abbassato la musica.
“Vedi che il cinismo si diffonde eh.”
Ri-alzo la musica.
“Se il cinismo si diffonde, la felicità è biadesiva: s’attacca!”
“Se lo dici te. Io non sto felice oggi. So’ stanco, c’ho il casatiello che non mi convince, manco ho dormito sta notte. ‘Nnamosene a casa: c’ho ‘na zucchina, il provolone Del Monaco, du asparagi: te fai ‘na frittatina Ja.”

Che gli dovevo rispondere a Maurì? Metti pure che c’aveva ragione, che il cinismo si diffonde, specie nell’abitacolo di una macchina. Avrei forse dovuto mettere da parte le favole dei bambini e accettare che a Pasquetta di mercati e di carciofi non se ne sarebbero trovati?

Qualche istante per processare e poi il botto. La musica era ancora alta: la felicità sembrava avere la meglio sul cinismo, eppure, sometimes, pure l’impronosticabile sgomita per i suoi 15 minuti di celebrità.

Caro Andy Warhol,
queste parole sono per te, per la tua anima, il tuo genio, o chiunque abitasse quel corpo fascinoso e affascinante. Dolce Andy, odio ammettere che, se potessi, sottoscriverei quella frase con la stessa BIC nera con la quale ho compilato il CID stamattina. Maledettissimo Andy, avesti ragione e ti sbagliasti, tanto da fare della contraddizione, ossia dell'inafferrabilità, il marchio di tutti i grandi artisti. Tutti, animali, cose, sensazioni, fiori... tutti godremo di quei 15 minuti, oggi 15 secondi, (perché mio caro non potesti prevedere il deficit dell'attenzione, quello no), ma santodio che ne poteva la felicità quando è stata colpita alle spalle da una Punto blu? Almeno potevi dirlo che non sarebbero stati consecutivi: avremmo risparmiato l'illusione degli applausi sul finale. 
Andy sei ingiocabile.
Distintamente,
J.

Mi accosto con tutta calma, scendo e già mi investo di aspettative: fai il CID Jacopo, fai il CID. Dall’altra parta un ragazzo giovane quanto me, di origini africane, timido, silenzioso, forse spaventato. Mi si avvicina il suo passeggero, tranquillo nel compilare i fogli che con sicurezza non esito a porgergli.
“Siamo di fretta: ho un aereo per Madrid.”, mi dice lui mentre cerca i dati della polizza assicurativa.
“Vai tranquillo, finiamo qua al volo e abbiamo risolto.”, fermo sulle mie intenzioni.
Poi lui compila e io mi incespico nel trovare il foglio dell’assicurazione tra il faldone degli ultimi 12 anni.

Eppure quella mattina avevo corso! Stavo a digiuno da 16 ore, il cosiddetto fasting che dicono faccia tanto bene, tazzina di caffè 0 zuccheri e via per una cinquantina di minuti in scioltezza tra i sali scendi di Parco Dora. Mi sentivo un leone: carico di endorfine, rigenerato da una doccia fredda, col sole in faccia e l’intenzione, tanto stupida quanto innocente, di procurarsi ‘du carciofi. Niente, il cinismo stava vincendo, e la mia fermezza nell’uscire da quella situazione con un CID firmato aveva incautamente ceduto.

“Devo prendere l’areo: scambiatevi il numero con mio fratello così dopo fate tutto con calma.”, il passeggero, molto più bravo di me a restare fedele alle proprie intenzioni.

Io, appena sconfitto.
Io, scalfito nelle mie sicurezze.
Io, che le endorfine stavano freneticamente abbandonando il mio corpo.

“Va bene, certo!”, perché era meglio fidarsi di loro che della mia saldezza. Così mi ritrovai solo con Maurino che intanto c’aveva le crisi per i cazzi suoi, incurante del potere che la sua aurea malefica stava sprigionando sulla mia ingenuità. Avevo però un numero di telefono, quello del ragazzo giovane quanto me, di origini africane, timido, silenzioso, forse spaventato.

Lo chiamo, ci becchiamo al bar, ci prendiamo un caffè e intanto compiliamo il CID. Lui mi racconta della sua vita, del suo viaggio dal Marocco per venire qui in Italia, di quanto l’incidente di qualche ora fa lo mettesse in difficoltà economica… io ascolto, e intanto sorseggio il caffè servitomi nella solita tazzina per destri. Non cedere Jacopo. Poi andiamo oltre, perché la geografia è bella sì, ma i sentimenti? Coi lucciconi mi racconta di quanto l’occidente sia stata la sua salvezza: lui, un sessualmente indeciso, che finalmente non deve più fuggire. Qualcosa in me si muove, forse potrei fare a meno del CID in fondo, forse siamo già innamorati.

Cazzata. Questa storia non esiste. Ho solo bevuto un paio di bicchieri nel mio pranzo di Pasquetta in solitaria e ora mi sento in diritto di poter creare storie manco fossi il Demiurgo di stocazzo.

La verità è che faccio un sacco di errori. Che chissà se per fiducia o per paura, mi sono ritrovato il pranzo di Pasquetta da solo sul balcone e bere del Pignoletto e a mangiare dei carciofi del Pam, imballati nella plastica.

Perché, tutt’ora, per me, decidere è impossibile! Come faccio a dire di sì ad Afrodite che mi ha invitato da lei per Pasquetta? Come faccio a chiedere a Pippo di unirmi a lui e ai suoi amici senza sentirmi né escluso, né offeso, né uno sfigato? Come faccio e dire a Maurino, che stamattina m’ha cambiato i piani per pranzo, che no, a me sarebbe garbato comunque mangiare insieme? E poi il van, pronto per partire per una due giorni all’avventura, ma poi lasciato tra le strisce blu e leccarsi le ferite per una bozza di incidente. E Marsiglia, da Rosalie… che tanto io non ho il coraggio di dirle che la penso.

Mille mila alternative. Nessuna decisione. Qualcosa succederà, mi dico. Anzi, qualcosa di meglio succederà, mi convinco. E intanto lascio passare treni su treni, alcuni pure pieni di gente interessate.

Oggi poi la stazione sembra aver chiuso prima del previsto.
Niente più fischi né “Attenzione! Non superare la linea gialla.”

Non c’è pericolo. Io me ne sto immobile come al solito ad aspettare che…
ad aspettare che cosa esattamente?

Ascolto una canzone.
Digito delle parole su una tastiera.
Il mio l’ho fatto.

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