“Ma fai come me: io non mi ascolto più!”
Ma come?, penso. Anni passati a predicare il verbo dell’as you feel, del come ti senti, dell’ascolto del rumore dell’anima come unica bussola in mezzo a un mare tutto onde e correnti. E adesso? L’unica spalla di sostegno alla mia rabbia mi dice di non ascoltarmi.
“Non ho più nemmeno uno specchio in casa”, rincalza la dose, “così non mi vedo, non mi giudico, non mi parlo sopra.”, mentre io distratto già mi immagino tutti i momenti durante i quali, passandoci accanto (a uno specchio) ancora mi volto.
In loop
Infilo le cuffie, quelle che non mi piacciono dato che io ho le orecchie piccole e loro fanno di tutto per penetrarvici manco fosse l’Ultimo Impero, manco fossimo tutti sotto ecstasy. Le infilo ma non metto nessuna canzone, perché tanto già lo so che tra le chiavi di casa, quelle della bicicletta e le buste dell’immondizia, mi si staccheranno un n innumerevole di volte, e io non ho voglia di sentire quella musica che tanto già c’ho in testa, a spizzichi e bocconi.
Così temporeggio: faccio tutto quello che devo fare, convinto pure di essere già un po’ in ritardo. Apro il cancello del cortile, butto la spazzatura, manca il cassonetto dell’indifferenziato (maledetta estetica/etica/politica o chiunque tu sia ad aver votato per i bidoni “privati”), ci penso un attimo prima di decidere di essere un cattivo cittadino e lasciare il sacchetto lì, esattamente dove il bidone immaginario dovrebbe essere. Slego la bici, riapro il cancello del cortile, lo chiudo, apro il portone, questo si chiuderà poi da solo, faccio per mettere play ma… no. Devo prendere il pane, e ci sono due possibilità: la panetteria vicino casa o quella vicino scuola… mi immagino come quel meme della signora bionda con tutte le formule che le passano per la cabeza e, fatti tutti i calcoli, decido: vicino casa. Rimando le prime note della canzone di ancora una manciata di minuti.
Vi risparmio la descrizione dell’acquisto di una spaccatella integrale, così esco dalla panetteria mentre sento la porta in legno dietro di me sbattere violentemente: “sono stato io?”, mi domando. Non ho tempo per l’introspezione, c’è quella canzone che sgomita per risuonare in questo normalissimo mattino di aprile, dove fa freschino e tanto avremo sbagliato tutti come vestirci.
Bici slegata, chiavi in tasca, portafoglio pure, cuffie che dopo aver mantenuto fede alla previsione (↑ vedi sopra) vengono finalmente risistemate con vigore: ora ci siamo, posso finalmente pigiare il tasto play.
il tuo autosabotaggio
e tutta la tua sincerità
che non ti fa vergognareparlami e portami in orbita
portami dove non sento più
tutto il freddo che faportami dove il tempo scorre
Palermo Parigi e non lo so – Quomo
più lento
Così sento quel pezzo in loop, una due tre quattro volte. Pedalo senza mani sulla comoda discesa di Principe Oddone mentre realizzo di non saper scegliere se sorridere o cantare, così faccio l’uno e l’altro, entrambi male ma comunque al meglio in quel limbo di indecisione.
Al terzo ascolto, un punto esclamativo: mi sarebbe piaciuto averle scritte io quelle righe! Averla avuta io quella leggerezza! Poi tre puntini … una pausa, e l’ennesimo step dentro la stessa introspezione per la quale credevo di non avere tempo stamattina: interpreto e disegno con la mente lo stato d’animo di quell’artista al quale avrei voluto rubare carta e penna. Di nuovo un punto esclamativo: No! mi sarebbe piaciuto essere innamorato, perché solo da innamorato potrei anch’io buttarle già quelle parole!
Parcheggio la bici nel cortile della scuola mentre la scia finale del pezzo accompagna i miei passi lungo il chiostro porticato. Salgo le scale e dal fondo del corridoio noto la porta della classe ancora chiusa: meno male che dovevo essere in ritardo, penso. Paola, la coordinatrice del corso, fa per cercare la chiave della classe tra il mazzo e dopo averla trovata si ferma un instante: “ma non entravate alle 10 stamattina?”. Appena termina la domanda ho già capito: tutta quella furia è valsa un’ora di sonno in meno, eppure continuo a sorridere, un po’ come facevo in bicicletta. Scriverò un articolo, o magari qualche mail per lo stage. Leggerò ancora un paio di pagine ché stamattina, sul cesso, mi sono distratto ad ascoltare Fabio Volo parlare di energie.
Vorrei innamorami, e non posso farlo se non passando attraverso del tempo di qualità passato con me stesso.