Poco prima: Adele a me.
“Tu l’hai conosciuto Pietro?”
“Chi?”
“Pietro, il nuovo ragazzo della sala…”, e via con parole taglienti, non curanti del pericolo vista la maestria nel maneggiare lame. “… quello giovane, alto, con l’orecchino. Quello che parla un sacco. Oddio quanto parla.”
“Abbiamo un altro Simo?”
“Un altro Simo, esatto. Pensa che oggi al turno di pranzo, stavo mangiando lì sulla mensola, quando mi si è avvicinato: <<ma tu sei figlia unica? No perché io ho un fratello più grande, ma non andiamo molto d’accordo.>> e non la smetteva di raccontarmi della sua vita, la sua famiglia, i suoi genitori… Io così! Posso mangiare?”
Poco dopo, io a Morty
“Have you met this guy, Pietro? It seems that we’ve another Simo…”, forse io, forse cercando consensi.
“Oh no man, but you know, I don’t care.”
“What do you mean?”
“I’m not like you guys”, eccola la vera lama, “I don’t wanna judge. I’ve never met this guy, I know that I will. Nothing else to say. Can I play a song?”
E Morty avrebbe continuato a parlare come se niente fosse. Come se quella lama non l’avesse mai sfilata dalla faretra. Perché d’altro canto era normale che io e Adele stessimo giudicando, e lo era altrettanto che Morty, quel giudizio, lo rendesse reale.
Mi sono colpito, e ho sentito dolore.
La ragazza dai capelli ricci e scuri
L’orologio del computer segna le 6:46.
Quello del telefono le 7:46.
Sono certo che il secondo abbia ragione e che il primo stia manifestando i primi segnali di cedimento.
Ho aperto gli occhi anticipando la sveglia di quasi un’ora, e non per fare i soliti addominali. Mi sono svegliato eccitato, con un erezione imperitura, dopo aver sognato di fare del gran sesso.
Io, e un centro commerciale adibito a luogo per ospitare eventi. Sesso.
Io, e la casa dove abitavo prima in piazza Carducci. Sesso.
Io, e questa ragazza dai capelli ricci e scuri, il cui volto non ricordo: una trasposizione intellettuale di uno spirito animalesco, creatasi nel sogno e attraverso il sogno giunta ai fianchi del monte libido.
Ho memoria, più fisica che dell’altrove, di un sesso famelico e un incedere incauto. Mai come nella cornice di questa notte mi sono sentito così sicuro.
L’ambizione divenuta richiesta.
Il desiderio manifestazione.
Il gesto gesto, e non tutti quei significati che immelmano l’acqua fino a impedirne lo scorrimento a valle.
Mi sono svegliato con l’idea di mettermi a scrivere e le mani nelle mutande. Cosa me ne faccio allora di ste mani? Devo prendere una decisione, e devo farlo nel mondo reale, là dove pesa, là dove vivo circospetto e punzecchiato dagli aculei dei miei sensi di colpa.
Lei intanto, la ragazza dai capelli ricci e scuri, fiammeggiava sul mio corpo. Proprio lì, nell’angolo del salotto, dove sapevamo entrambi che ci avrebbero visti, ci sentivamo comunque al sicuro.
Il suo ventre che baciava il mio mentre le cosce si incastravano tra i sudori degli spasmi. Il mio pene solido e felice, riscaldato dal suo abbraccio bagnato. Le mani che non erano più mani. Le braccia che non erano più braccia. Solo il desiderio di lacerarle la schiena, e farla a brandelli, per renderla ancora più mia, ancora più sua. Con la stessa violenza unire i volti: fronte a fronte, naso a naso. Con le mia dita a strizzarle i capelli, e le sue a perforami il cranio. Come se quell’ingresso, nascosto tra le nostre gambe, non bastasse a conoscerci, come se volessimo penetrarci nei e attraverso i corpi tutti. Occhi negli occhi. Saliva nella saliva. Petto nel petto.
Il sogno mi offriva il punto di vista dell’angolo apposto del salotto dal pavimento di marmo. I contorni del mio corpo bruciato e la sua schiena solcata da una linea perfetta.
Un rituale violento e doveroso: l’unico attraverso il quale saremmo stati in grado di dirci addio.
Osservavo e intanto godevo.
Un punto di vista privilegiato, quello del metateatro. Quello della metavita.
E mentre poco prima sognavo di rubare alla notte una fotografia di stelle, e un uomo dalla stazza ingombrante mi chiedeva perché non aspettassi l’alba, sventravo la ragazza dai capelli ricci e scuri con un ultimo orgasmo, prima che entrambi ci sciogliessimo cenere e di noi non restasse che il fumo.