“…mettice er ritmo, er battito del cuore… Jacopì ce sta una frequenza al di sotto della quale se muore, una frequenza al di sopra della quale se muore. A me è quel mezzo che mi intrippa. Qual è quel mezzo? Ao’ n’arbero a primavera fiorisce eh! ‘Un è che può fa’ come glie pare a lui. Rimane saldo alla propria frequenza; e te dirò de più: alla frequenza der monno.“, e mentre Licenza tramontava, Giordano faceva tutt’altro. Ricordava a me e a sé stesso quali fossero i suoi demoni, senza però alcuna smania di farli fuori. Sapeva forse che faceva tutto parte dello stesso ritmo e che era più importante ascoltarli piuttosto che zittirli.
Due luci arancioni si nascondevano dietro alle chiome degli alberi: dopo circa quattro ore il carroattrezzi era venuto a prenderci.
Avrei dormito da Benedetta quella notte.
La macchina invece l’avrebbero dirottata verso un deposito di Roma con la promessa, il giorno seguente, di riportarla in officina a Tivoli.
Era pur sempre agosto e Roma vestiva bene i propri abiti da deserta e afosa città. Non un meccanico aveva risposto alla nostra (mia e dell’assicurazione) richiesta d’aiuto.
– “Babbo mi si è rotta la macchina e non c’è mezza officina aperta dove portarla a riparare.”, pur sempre saldo al mio essere figlio, “che faccio?”
– “Lasciala lì dov’è e scendi in Puglia. Ci pensi poi al ritorno.”
Che senso aveva quindi starsene in pensiero? se pure chi avrebbe dovuto cazziarmi, così senza motivo, ma perché le regole dei ruoli lo imponevano, se pure lui se ne stava nel comfort di un mondo che nonostante tutto continua ancora a girare.
Riparo la tazza del cesso.
Sfondo la porta della signora al piano terra.
Cammino per Tivoli senza ormai più mutande.
Poi squilla il telefono, è Francesco, l’amico dell’amico dell’amico, il meccanico del paese che, in dialetto, senza indugi, mi dice: “prendi i colli di Santo Stefano, vedrai un cavallo bianco: lascia la macchina lì, con le chiavi attaccate. Stasera quando torno da lavoro te la guardo.”
Sarebbe stato troppo facile e troppo poco elegante ascoltare il consiglio del babbo. Così chiamo il carroattrezzi: “ho trovato un meccanico!”
– “Ah sì? Come si chiama? Ci dia l’indirizzo così le portiamo la macchina.”
– “Ehm… le mando la posizione. Comunque non si può sbagliare, c’è un cavallo bianco.”
– “Ma lei è sicuro signor Masi?”
– “Poche volte come questa volta lo sono stato. Si fidi.”, e mi fido anch’io.
Tivoli sarebbe allora scivolata via nel godimento più totale dell’inciamparsi degli eventi. Un letto, poi una casa, poi un’altra e le valigie lasciate a Roma mentre ogni giorno alle cascatelle: il chiaro contorcersi tra l’essere adulto e l’essere bambino dissuasosi nella promessa fatta a mamma prima di partire:
rilassati e innamorati
Lo farò mamon.
Perché me l’hai detto tu.
Altrimenti chissà se mi sarei dato il permesso di tornare bambino.