“Così ascolto l’audio guida in inglese e faccio esercizio 😅”, proprio mentre inizio a scrivere si illumina lo schermo del cellulare.
È un messaggio di Sonia alla quale ho appena detto che non sarei andato in barca oggi.
Mi manda una foto: è già su un altro battello.
“perdonaci 🙏 siamo brutti e cattivi”, temendo tensione.
“No no tranquilli… Si fa quello che si vuole. E io non mi perdo d’animo”
“tu sei un drago”
Fuori c’è vento.
Piazza Dam inizia a vedersi calpestata da migliaia di passi, e in lontananza un cerchio di persone regala i propri sguardi ad un gruppo di ballerini.
Ho paura che il tempo mi stia sfuggendo di mano… in realtà sto bene, ed è questa la vera paura.
Così mi addormento, stremato e diverso
“Mi sento agitato.”, avevo rotto il silenzio dopo essermi spostato da una sedia a un’altra, e da quell’altra al divano. Nel mentre mi toccavo il petto, veicolando alla gola quel blocco che mi rendeva affannoso il respiro.
Tutto iniziò da la leggerezza della vanità fino all’esplodere saldo e caotico nel corpo convulso di un respiro.
Mangio il secondo pot brownie convinto che l’effetto sarebbe stato minore e l’esperienza più facilmente godibile. Passa molto meno tempo e sento il bisogno di sdraiarmi.
Il letto è la navicella spaziale.
Il letto è la culla.
Il letto è la tenda dietro la quale mi nascondo, nella speranza che da fuori la gente possa ancora scrutare le ombre dei miei movimenti.
Ripongo ormai una fiducia amicale in Coulou, un ragazzo che fa musica, la musica giusta: scelgo il pezzo, il numero 18, e nella bolla ovattata di un sentire amplificato, mi sdraio.
Percepisco i suoni contorcermi il ventre.
Le convulsioni. Di nuovo loro. Sempre loro.
ora vorrei chiedere a mia madre di quando da piccolino, appena nato, ebbi le convulsioni per la prima volta. mi disse che rimasi in ospedale. ma lei? il babbo? ebbero paura? stettero con me? passai la notte da solo?
Sento l’intermittenza dell’addome contrarsi, nessun’agitazione: lo lascio fare. Supino, provo ad ascoltare le urla del corpo. È straziante e delicato allo stesso tempo: lo sviluppo orizzontale di tale energia esplode e rimbomba nelle viscere della pancia fino a trovare nell’alto e nel basso due canali di svincolo.
Da una parte il pube, dall’altra la gola.
Da una parte il sesso, dall’altra lo spirito. …credevo
L’esplosione continua delle convulsioni evapora e si dissipa nelle due opposte direzioni, donando eccitazione e un’afflato di libertà. Il pene si riempie, mostrandosi caldo e privo di vergogna, mentre la gola riceve dal petto l’ondata di un fiume in piena.
“Sono morto”, penso, sento, vivo.
L’inarcarsi della schiena apre il petto al cielo. Le scapole si avvicinano e le spalle, le braccia i gomiti fanno lo stesso. Un rigido blocco a livello dorsale mi inchioda in quella posizione, e mentre il busto si curva sento la testa scivolarmi indietro.
La bocca si apre.
Il respiro si affanna.
E la gola diventa il canale di comunicazione col mondo.
Dal petto sento lacerarsi uno strato di pelle; nella mente quello è l’ego che se ne va. Una sensazione indescrivibile di leggerezza riempie lo squarcio e, con le palpebre serrate, percepisco una luminosità avvolgente riempire la stanza.
“Sono morto”, penso, sento, vivo.
E mentre il pene gode, l’addome pulsa e il petto si apre, percepisco un senso di allineamento col mondo: vedo le mani allinearsi davanti al viso e il significato di risoluto si fa evidente.
“Ho fatto l’esperienza della morte”, racconterò a me stesso e agli altri, rubando allo spazio la pragmaticità di alcune parole:
se uccidiamo un uomo, non veniamo puniti perché lo abbiamo privato della vita, ma perché gli abbiamo rubato il suo diritto alla morte naturale: il diritto al proprio “momento risoluto”
Così mi addormento, stremato e diverso.
I giorni successivi sgocciolano una spiritualità diversa e la realtà sembrava sapere tutto in anticipo: 4 impegni, tutti nella natura, si inseguono fino quasi a sovrapporsi. era quello di cui avevo bisogno, sento.
Venerdì vado a trovare Afrodite nella sua casetta a Corio Canavese: “facciamo yoga e drops di funghetti?“, le chiedo. Lei mi asseconda e finiamo baciati da un sole troppo orgoglioso per essere settembre.
Sabato nelle Langhe è il compleanno di mia sorella: la notte prima dei suoi trent’anni avevo sognato una frase da dedicarle. Gliela scrivo sul retro di un acquerello di un gatto, e gli occhi lucidi di lei mi fanno nascere un sorriso: ci siamo, penso.
Domenica organizzo una festa in montagna: non vedevo l’ora di appoggiare i piedi scalzi su un prato. La sera scappo a Viverone dove suonano i Jassies, ma un incidente sulla strada e l’anticipo del concerto fanno sì che mi ritrovi clamorosamente in ritardo. Arrivo in tempo per l’ultima canzone e Dumi mi butta sul palco: non ho neanche avuto il tempo di agitarmi che già stavo con un tamburello in mano.
Lunedì svuoto la mia camera a Porta Susa e preparo la valigia: il giorno dopo sarei partito per l’Olanda.
Oggi sono qui, seduto al tavolo che si affaccia su Piazza Dam a scrivere incastrato dei giorni precedenti, mentre il pensiero mi porta al ricordo di un abbraccio e alla suggestione di un futuro incerto.