“Che vini bevi?”
“I vini buoni”
Non esitai un istante, e mi chinai per prendere il quadernetto dove sono solito scrivere. Con sorpresa, e parziale giudizio verso il me che ritengo essere scrittore, realizzai che il rovistare delle dita nello zaino non coincideva con la forma di una penna.
“Tu ne hai una?”, chiedo allora a Marylin che intano sorseggiava ignara il suo London Mule.
“Fammi vedere”, e copiando e incollando i miei stessi gesti aveva tirato fuori dalla borsa un beauty: “allora rossetto, mascara… vedi un po’ questo? È una sorta di pennellino, lo uso per le labbra.”
“È perfetto!”, e subito iniziai il goffo tentativo di scrittura.
Che vini bevi, tutto sbrodolato.
Quelli buoni, tutto così semplice.
Ancora sesso
Appena posso, colgo la palla al balzo e mi trasferisco 5 giorni da mia sorella mentre lei e il suo moroso sono via, in vacanza.
All’improvviso l’immagine di quel ragazzo spirituale che usa l’emoji della foglia🍃 si smaterializza, lasciando posto al lato oscuro di quello stesso ragazzo, questa volta un po’ più punk, questa volta un po’ più solo.
Manco il tempo di iniziare che già sono in giro: passo a prendere Maurino per poi portarlo a pranzo da Pigna. Io sto bene, lui sta bene, e questo ci basta per schivare l’abisso del “come stai?”. Sul tavolo degli avanzi di pizza della sera prima e il tempo, così fresco da intitolarsi piacevole, ci invitava a domandarci reciprocamente: “caffettino?”. Daje.
Scendiamo senza aver deciso di quale bar voler essere critici.
“Prendiamo la macchina e lasciamoci ispirare.”, azzardo.
Maurino annuisce e io eseguo.
“Namo da Sbarco?”
“Non è di strada Maurì.”
“Ah perché stamo annà da Pigna?”
“Eh sì. Anche se pure Sbarco…”
“No no, andiamo da un’altra parte. Lasciamoci ispirare (cit.)”
Passa la bellezza di qualche secondo che dal sedile passeggero rimbomba una proposta: “Trambusto?”
“Che è?”, rilancio senza troppe aspettative.
“Un baretto qua da queste parti. Bello buttato eh.”
“Vai, dimmi dove.”
Un rettilineo, due angoli e un altro rettilineo ci separano dal peggio/meglio bar di quartiere. Una schiera di personaggi sembrava essersi data appuntamento a quel dehors per fare le prove generali su Lo spettacolo della razza umana. Il susseguirsi di tutte quelle scene iconiche aumentava in maniera proporzionale la semplicità della meraviglia e il rimpianto di non avere il solito quadernetto con me, e mentre Maurino si intratteneva con Maurizio, io perdevo di vista il senso di quella nostra comparsata.
“Non vedo l’ora di sedermi in balcone da Pigna, con questo bel sole, una zanchetta… aaaah”, alimento l’attesa mentre stavamo ormai salendo in macchina.
Quattro ore più tardi, lo sbattere alle nostre spalle della porta dell’ascensore aveva chiuso anche quel capitolo della storia: viviamo catapultati da una realtà a un’altra senza che nessun paragrafo ci introduca al passo successivo del racconto. Così, dopo Pigna, ero già in viaggio verso casa di Maurino, e poi un’ora di traffico per andare a casa di mia sorella e un po’ di crisi che pensavo potesse passare con una sig.ra bottiglia di metodo classico. Niente di più sbagliato: la bottiglia era pessima ed io, da solo, in quella casa non mia, rallentavo la metamorfosi rimanendo saldo alla mia vecchia pelle.
Il sesso continua ad agitarmi.
Il ventre a lanciare segnali.
Ed io che invece desidero un po’ di continuità, mi ritrovo catapultato nei picchi verticali della mia irrequietezza.
Mi sparo una sega: “passerà”, mi dico e subito dopo accendo un documentario sforzandomi di non dormire.
La sera era la sera di Halloween, ma il mio umore mi impediva di volerlo sapere e nel farmi vittima sul divano, cercavo le forze per uscire e tornare al Trambusto con Maurino. Arrivo prima e subito rimpiango di averlo fatto: il dehors è il dj set del Titanic prima di affondare, l’interno una sala d’attesa dall’urologo mentre lo schermo proiettava Roma-Torino.
Resisto un tempo, poi trascino via Maurino: “andiamo in Sansa”, borbotto.
“Oh ma che c’hai?”, appena dopo aver sorseggiato il suo Negroni.
“C’ho i pensieri Maurì. C’ho i pensieri.”
“Embè? Forza!”, ammirandone la schiettezza anche di fronte ad un pulcino indifeso.
Non ho esitato, e gli ho raccontato di quanto mi sentissi distante da me. Di quanto volessi l’amore cercando il sesso. Di quanto Valencia, la casa di mia sorella, l’app di incontri, le sigarette, il costante essere impegnato a fare/uscire/brigare… fosse tutto il risultato del sesso.
Quella notte siamo stati svegli fino alle 5.
Abbiamo bevuto molto.
Ma sono riuscito anche a ridere.
Il giorno dopo, però, me ne ero già dimenticato: nessuna risata, sostituita a buon rendere da un famelico appetito.
Nella mia mente sembrava tutto perfetto: doccia, occhiale da sole e via a fare colazione da Beatrice… salvo poi incontrarmi col me giudicante e col Maurino dal palato salato.
Cambio di rotta: Zichella. “ma non mi vanno i tramezzini”
Ok allora Ciro Petrucci, Il fornaio. “chiuso cazzo”
El pan d’na volta?, “ma le hai viste le pizze?”
…
Ho fatto colazione/pranzo/indigestione con dei falafel dall’egiziano, ho salutato Maurino, e sono corso a casa, senza troppo pensare a quel solito non scegliere: un impellente bisogno fisiologico mi stava distraendo da quell’inutile rimuginare.
Il pomeriggio ho lavorato a un documentario, con la testa sul cuscino e il cellulare puntato verso Marylin: da lì a poche ore sarebbe passata a prendermi per andare a Milano a vedere i Cigarettes After Sex.
“Dolce”, il soprannome n°1 della lista dei soprannomi graziosi, “fai che sarò da te per le 18:30, ok?”
Ignoro che quell’orario significasse ritardo e rispondo: “ok”, per poi tornarmene a giocare ad essere produttivo.
Le 18:30 diventano quasi le 19 e Marylin si manifesta sotto casa con i sedili posteriori colmi di borse, formaggi francesi e una tastiera, e il resto dell’abitacolo cosparso di adorabili piantine.
Non fare domande Jacopo. Se devi essere Mathilda di Leon impegnati e basta.
“Allora Dolce, questo è il piano: il concerto inizia alle 21 giusto? Bene. Adesso andiamo a prendere le chiavi dell’appartamento di Gloria”
“Gloria? E chi é?”, la interrompo.
“Un’amica di infanzia. Comunque andiamo a prendere le chiavi, poi andiamo a casa sua, svuotiamo la macchina e poi dritti ad Assago.”
Ignoro nuovamente che quel piano significasse ritardo e rispondo: “ok”.
Poi rinsavisco: “No, aspè… non ce la faremo mai! Sono le 19, il concerto è alle 21, e ci mettiamo quasi due ore solo ad arrivare ad Assago.”
“Cazzo è vero.”
“Intanto parti, poi ci pensiamo.”
E così è stato: Marylin è partita e poi ci abbiamo pensato.
Arrivati dritti ad Assago, abbiamo lasciato la macchina in un parcheggio “sorvegliato”, e mentre lei si truccava e io mi fumavo una zanchetta, il concerto stava comunque iniziando: un ritardo calcolato, pensavo.
La corsa all’ingresso 6, il finto check-in, le scale mobili e l’apparizione di un palazzetto completamente buio con i flash dei cellulari accesi e la musica che già navigava su un mare calmo e dondolante: “Ma quant’è figo arrivare a concerto iniziato?”, le sussurro nelle orecchie convinto che non potesse sentirmi. Il suo silenzio però mi smentì, suggerendomi invece la medesima sensazione di meraviglia.
Il concerto sono poi state due ore troppo brevi di viaggi e suggestive scenografie. Un sogno e il ricordo di Carmela scalfito negli occhi ancora incapaci di piangere.
Il resto è la storia di un pessimo paninaro figlio di un inventato esperimento sociale, e di un ultimo bicchiere prima di mettere finalmente piede in questa fantomatica casa dell’amica d’infanzia: “Ciao! Gloria dovrebbe aver lasciato delle chiavi di casa.”
“Siete i ragazzi di Torino?”, la barista del locale sotto casa di Gloria.
“Siamo noi.”, increduli che le cose stessero davvero andando per il verso giusto.
“Eccole. Volete qualcosa da bere ragazzi?”
“Io un birrino, tu?”
“Vado in bagno e arrivo. Per me un London Mule.”
Il giorno dopo addio Milano, non fai per me
Ciao Marylin, che bello parlare con te.
E poi di nuovo sesso.
Tanto. E bello.