CINQUE VITE

da | Nov 27, 2024 | Novembre 2024

“Un ultima domanda: a chi lo dedichi questo che tu chiami un documentario?”, mi aveva chiesto Marco, il moderatore dell’incontro.
La risposta non si fece attendere: un pensiero ai miei genitori, a mia madre… poi lapidario: “A me.”

Sipario.
Applausi.
Un sorriso mi si stampa in faccia, e dopo essermi guardato intorno, mi perdo tra il calore della gente che, matta, aveva deciso di regalarmi parte del proprio tempo.

Ce l’hai fatta, ho pensato. Ce l’hai fatta a raccontarti senza sentirti di peso. Bravo Jacopo. Adesso goditela. Un ultimo bicchiere di vino e una serie infinita di abbracci.

GIOVEDì HA NEVICATO

Ho trascorso gli ultimi giorni nel turbinio di 5 vite.
Un ritmo scostante, dall’andamento frenetico, si era impossessato del mio presente, muovendomi spasmodico tra la virtualità di paesi lontani e il macigno dell’esistere qui, e ora.

Giornate intere trascorse ad “aggiustarmi la vita”, dicevo, mentre il nastro della quotidianità continuava a srotolarmisi sotto i piedi. Valencia, COOKS around, l’evento di Sardinia, il Med Fest, e le soliti abitudini di sempre a fare a spallate per non venire fagocitate dalla voragine di un tempo che sembra sempre che non basti mai.
Ho gettato così tanti semi da finire col domandarmi se forse, prima, non avrei dovuto chiedere alla terra se si sentisse pronta ad accoglierli.

Lunedì resisto.
Martedì insisto.
Mercoledì barcollo. Ma un ignorato messaggio mi permette di non perdere la bussola e di dedicare un ultimo sforzo alla suggestione di un futuro radioso.

So quello che mi aspetta, così domando a me stesso un ultimo sforzo: “avrai tutto il tempo per buttarti via”, mi consolo, e chino la testa sulla tastiera nella progettazione di un piano di comunicazione per un nuovo, questa volta più strutturato, documentario.

  1. Valencia: una stanza che stenta a trovarsi. Tante, troppe le fregature che tentano di adescarmi. O forse troppe quelle che sospetto, ma che in realtà sono il modus operandi di un luogo non ancora familiare. Mando mail. Cerco annunci. Traduco affannosamente dall’italiano allo spagnolo, nella speranza che quei secondi di transizioni non mi costino cari. Risultato: trovo una stanza, azzardo un incosciente pagamento, conosco la cuinqui, mi piace! DAJE e 1
  2. COOKS around: il progetto di “cuochi itineranti” messo in piedi con Fruu. D’improvviso il primo cliente, a Gennaio, in Romania. Accetto, poi ci penso, mi dico. Se non fosse che quel “poi” si sarebbe trasformato in un subitaneo “adesso”. Allora manda mail, chiama Maurino, switcha in inglese e assicurati di trovare un metodo di pagamento legale, che ormai sei grande e non è più tempo di lasciare scorie per la strada. Risultato: primo progetto in porto, siamo ai dettagli! DAJE E 2
  3. All’improvviso la proiezione di Sardinia, il mio documentario. L’avevo messo nel mirino, ma come spesso accade, era bastato un colpo di vento a muovere l’obiettivo. Poi un messaggio: “we’ve got some fundings from the European Union”, così accetto e mi metto in moto. Contatto alcune associazioni culturali della città: troppo poco tempo, la programmazione è già fitta. Sullo scadere del gong, qualcuno si fa avanti: “noi avremmo posto questo lunedì, va bene?”. “Va bene!”, e centometrista mi metto a rincorrere cibo, relatori, pubblico… Risultato: dai lo sai. DAJE E 3
  4. Il Med Fest mi taglia la strada proprio mentre stavo attraversando sicuro verso la proiezione del mio documentario. Faccio leggere la mail di presentazione dell’evento alla mia prof: “Oh cazzo!”, la sua risposta, “Dovresti scrivere un progetto per venire a raccontare le culture mediterranee il prossimo anno in occasione de… bla bla bla.”. Sono troppo entusiasta per proseguire, e con la stessa foga mi metto a scrivere un’idea da presentare ad un sponsor. “Marylin hai da fare la prossima estate? Te la senti di girare un documentario?”, e dall’altra parte ricevo il più bel della mia vita. “Tu Benny?”, forse mi sbagliavo sulla portata del sì. Risultato: noi ci siamo, se ci vogliono partiamo! DAJE E 4
  5. Scrittura, work-out, sprazzi di una sana alimentazione, famiglia, socialità, amicizie che pensavo stessero per finire, altre che aimè dovranno geograficamente interrompersi. In tutto questo provo a portare avanti la mia vita, dimenticandomi per un attimo de la sabbia in un pugno, e forse proprio grazie a tale dimenticanza, uscendone illeso. Risultato: sono vivo, mi sono buttato via il giusto e mi sono raccapezzato oltre ogni rosea prospettiva. DAJE E 5 mi sembra scontato, ma sai che c’è?!

Giovedì al mattino bevo vino e alla sera bevo birra. Fuori nevica e Benny mi racconta di quanto sia ingiustamente stancante essere donna. “Continua”, le dico.
“Cosa?”, mi fa lei, dopo avermi osservato qualche secondo in silenzio.
“Continua a parlarne. Non smettere. Ne abbiamo bisogno. Abbiamo bisogno della comunicazione e della condivisione per ridurre le distanze. Per questo dico, continua a farlo. È importante.” E con le dita disegno le linee lontane delle vite di ciascuno di noi. Perché quell’uomo palestinese che le ha chiesto di condividere un taxi è figlio del proprio mondo. E quel ragazzo conosciuto su Hinge è pure lui figlio del proprio di mondo. E io. E lei. E chissà ancora chi. Siamo tutti così distanti che solo il condividere può farci cambiare rotta.
La musica si fa sempre più forte, usciamo e finalmente ci abbracciamo.

Venerdì cena da Lore: è il nostro compleanno. Sono 10 anni che ci conosciamo. Finisce che ridiamo troppo da scordarci di essere prudenti con le Ceres. “Ci pensiamo domani?”, “Ci pensiamo domani.”, rimandando di qualche ora i postumi di una serata felice.

Sabato tiro a dritto: sveglia, scrivo, sport, faccio la trippa, faccio la bagna caoda, puzzo ma vado lo stesso da Pippo. “Aperitivino lungo”, l’aveva chiamato lui, e lungo era stato. Fino a quando lo scemare lento della gente non ne aveva decretato la fine, con delle foto ricordo in regalo, e la consapevolezza che forse, chissà, non ci saremmo visti per un po’.

Domenica è il Barbera Bianco con Rich, pranzo in famiglia e sessione creativa con Claudietto. Minimo Comun Denominatore la puzza d’aglio e uno stomaco in subbuglio. Ma Claudietto tollera l’odore invadente e io resisto alla tentazione di fare cena.

Lunedì… lunedì è il grande giorno.
Io ho paura e decido di affrontarla non andando a lezione.
Mi sveglio con tutta calma, rimetto a posto delle conversazioni lasciate volutamente lì nel dimenticatoio, medito, corro, medito, mangio gli avanzi della domenica e ansiosamente aspetto.
Il pomeriggio è lungo nonostante alle 16 e spicci sia già fuori di casa, direzione quel negozietto sardo dal quale avrei acquistato gli stuzzichini per l’evento.
Poi la preparazione, l’attesa, il vino e la sala che, sfumatamente, si inizia a riempire.

Il moderatore c’è ed è bravissimo.
I relatori ci sono e sono di una disponibilità sconvolgente.
Il pubblico, fatto di amici, parenti e sconosciuti, applaude mettendo a nudo il mio imbarazzo.
A fine documentario lo scettro del microfono spetta a me e gagliardo, decido di prendermelo tutto quel momento.

“A chi volevi parlare quando hai deciso di girare questo che non è un documentario?”, esordisce Marco Tripaldi, il moderatore.
“Non lo so”, non mi nascondo, “volevo parlare e basta, poi a quali orecchie sarebbe arrivato, beh, fin lì non mi sono spinto.”

Un’ora dopo finisce tutto.
Abbraccio i miei genitori, e solo dopo faccio lo stesso con gli amici.
“Oh prossima estate viaggio in bici eh!”, incalza Pippo.
Cazzo sì!, penso, e pieno di adrenalina salgo in macchina.

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