“Sono troppo poco egoista per potermi raccontare.”, e forse se l’avesse avuto, avrebbe tirato già un sorso di Negroni.
“Perchè, il raccontare è un atto egoistico?”, rispondo dopo aver fatto velocemente i conti col mio ego.
Il clima sembrava rinnegare il moto di rivoluzione terrestre, quando in realtà era la nostra abitudine ad una sola latitudine a forzare il paragone con i nostri luoghi d’origine. A Valencia dicembre sembra aprile, e la conformazione della mia nuova casa mi rende difficile l’aggrapparmi ai fidatissimi punti cardinali.
Dall’altra parte del tavolo la ricerca di nuovi amici nella città che mi ospiterà per i prossimi 5 mesi: il suo nome è Giacomo.
Di lui so che è veneto, che è un amico di Elia e che fa il video editor.
Di lui sospetto che impugni una lente di ingrandimento sulla propria anima.
“Ho parlato solo io…”, mi fa lui dopo esserci alzati dal tavolo.
“A me piace ascoltare.”, vado di circostanza, mentre la risposta giusta mi sarebbe arrivata il mattino seguente, passeggiando verso il mio primo giorno di stage.
Finalmente un pianto
“Sono i feedback ciò che mi ha scaldato di più il cuore!”, rispondo a tutti quei “Com’è andata?”, “Allora la proiezione?”, “Il documentario alla fine?”
Lo stupore, qualche lacrima, il desiderio di partire per un viaggio insieme in bicicletta… estensioni di un racconto che mai mi sarei immaginato quando il 1 agosto 2023 decisi di iniziare a pedalare. Poi sono dei messaggi sparsi a ravvivare l’orgoglio, mentre le giornate si susseguono e l’alba dell’ennesima virata si fa sempre più vicina.
“Se tu viaggi accetti sempre la nostalgia”, affonda inconsapevole Claudietto senza neanche darsi il tempo di essere un po’ brilli. Perché ce l’eravamo promesso e, proprio adesso che stava diventando quasi più un’urgenza che un bisogno, l’avevamo fatto: ultima cena a La capanna dei Nonni, poi io a Valencia e lui a Ginevra. Ma prima: “mi racconti la tua storia?”. Lo sospettavo, e poraccio l’ho tenuto sveglio fino alle 3 del mattino.
Che anche gli ultimi sgoccioli di novembre sarebbero stati speciali era quasi noiosamente scontato. Andava concludendosi il mese che, a priori, avevo deciso di dedicare a mia madre, perché quella frase “sistemically self-love is usually related with the mother”, pronunciata da Joanna appena prima che lasciassi l’Olanda per l’ultima volta, aveva generato un sussulto ancora fragile nello stabilizzarsi. Mi ero preso un impegno e le circostanze sembravano essersene accorte, frantumando la falsa suggestione di un monolocale da solo in San Salvario, e obbligandomi a rinunciare al sesso in cambio di chissà, forse dell’amore. Così sono tornato a casa dai miei genitori e, solo dopo aver imprecato contro l’Universo per quello scocciante imprevisto, avevo deciso di riporre fiducia in quella che gli hippies chiamano intuzione: “ti posso abbracciare mamma?”, e da lì finalmente un pianto.
Per la prima volta, sento che mi sto mettendo in viaggio voltandomi anche un po’ indietro. L’equilibrio tra la curiosità e la nostalgia, tra la novità e la mancanza, tra ciò che verrà e ciò che fin’ora era, mi mantiene saldo sul baricentro della mia persona. “Hai aggiunto un altro pezzo e quel pezzo rimane, anche se tu te ne vai.”, mi mette una mano sulla spalla Pigna la sera prima di partire, e con questa certezza in più saluto un’ultima volta i miei genitori e parto strabordando gratitudine.
Valencia mi accoglie, mi coccola e mi dona tempo.
La prima notte non ho dove dormire, ma l’amica di un’amica rompe gli imbarazzi: “Boris friend are also mine 🫂”, così finisco ospitato su un materasso con un gatto di nome Raksha (la lupa, madre adottiva di Mowgli: era già tutto scritto…) a girarmi attorno e la voglia di vedere la luce del sole a farmi da sveglia.
Ritiro le chiavi della mia futura casa e mi riscopro felicemente da solo: Ivàn lavora, Ximena è a Madrid e Sarah non si sa. Ne approfitto, mi acchitto cameretta ed esco al volo a comprare il minimo necessario. Tra i tanti messaggi uno: “Ciao Jacopo, come va? Sei arrivato a Valencia??”, mi scrive un numero salvato come Giacomo Elia Valencia.
Ci metto un attimo per mettere insieme i pezzi, e felice cavalco l’onda: “Uè ciao Jack! Tutto bene! Sono appena atterrato a Valencia! Tu come stai? Sei in città?”
Qualche ora dopo siamo seduti uno di fronte all’altro con un Espresso e un Americano a dividerci, ma solo la mattina seguente, andando a piedi verso il lavoro, avrei ripensato a quella frase mai realmente esistita:
“Ho parlato solo io…”
“Com’è stato, per una volta, essersi dati il permesso di essere “egoisti”?”