MASTICA E SPUTA

da | Giu 23, 2025 | Giugno 2025

Dal vangelo secondo Mafi, (17/06/25, La Cricca)

Noi siamo individui molto complessi.
Viviamo in un’epoca molto complessa, ed è impossibile che una sola persona contenga tutte le sfaccettature di tale complessità.
[…]
Secondo me la frammentazione è una cosa bella, e va rivendicata.
Io la mia frammentazione la rivendico, e anche quella degli altri, senza la pretesa di capirla.

Impressionato dalla fortuna di essere sul quella porzione di cortile, proprio accanto a Mafi, Salvini, Franca e Villa (anche loro complici di tanto approfondire), presi il mio taccuino e iniziai a mettere a verbale quanto mente, mano e vino mi permettevano di fare.

D’un tratto Franca: “Siete entrati ufficialmente nella schiera di persone che conosco, che definisco poco raccomandabili.”, mentre si paventava un evoleversi bohémien della serata.
Un saluto e se ne va.
Saggia lei.

Incauti noi.

CACTUS E PUNGITOPO

“Allontano chi mi vuole. Rincorro chi mi fugge.”, ho letto in una BIO su Grindr.

Parla con me? Anzi, di me? Mi domando, finendo poi col distrarmi sulle foto profilo e sull’interrogativo esistenziale se scrivere o meno a quel ragazzo. Un altro pallino verde attira però la mia attenzione, e lascio che il segnale sfumi come prua all’orizzonte.

Mi addormento solo dopo aver dato un’altra manciata di possibilità alla home, dipendente da quella dose di dopamina che ormai nutre la mia mente ogni qual volta si sente affamata.

La mattina seguente mi sveglio pieno, tanto di stanchezza quanto di vitalità, come se durante la notte non avessi badato a spese e avessi fatto rifornimento di diesel e benzina indistintamente. L’ambizione di una routine viene interrotta dal cartellino degli imprevisti che recita “Ti dimentichi il pane sulla padella. Addio colazione.”
Sbuffo divertito, e rassegnato, abbracciando la sorte come massima espressione della mia santità: a riprova, dopo essermi toilettato con gusto, medito sull’autocoscienza riscoprendo nella distrazione il valore della consapevolezza.

Terminata la pippa esistenziale mi dedico con loquace intraprendenza ai quei messaggi su Whatsapp volutamente ignorati il giorno precedente: non sono stato programmato per la performance h24.
Lo schermo del computer è voragine intellettuale di stimoli e pischedilci interludi tra il da farsi e il fare: l’antitesi tra la sua forma piatta, squadrata, immobile, e il suo potenziale infinito di risorse mi risucchia come Robin Williams in Jumanji.

Rinsavito dal trip, affido alla quotidiana dose di caffeina il compito di trascinarmi al parco per la solita sessione di workout. Ormone dopo ormone costruisco il mio benessere psicofisico: il caffè bussa alla porta di dopamina e serotonina, le quali attivandomi mi trasformano in un atleta; tramite lo sport stimolo il rilascio di irisina; mi sento bene, energico e guardandomi allo specchio mi piaccio, sorseggiando un ultimo cocktail di endorfine e dopamina a cubetti. Il risultato è un’eterna dipendenza di autocompiacimento sulla quale strutturo il successo delle mie giornate.

La doccia mi riporta su un pianeta vissuto da esseri afflitti da turbamenti e complicazioni, e umanamente felice, monto in bicicletta direzione Pigna. La strada sembra essere stata costruita apposta per il tratto casa mia – casa sua: tutta ciclabile, curve morbide, in mezzo un cavalcavia, un grande parco e almeno un paio di rettilinei alberati.
Lo vedo da lontano mentre porta a spasso Orso, il cane.
Deve avermi visto anche lui, mentre porto a spasso Gitana, la bici.
Una volta affiancato gli vomito addosso tutta la mia felicità: un buongiorno scritto in maiuscolo, le allusioni al sole, all’estate, le grida nelle orecchie: “lo senti questo caldo?”. Devo averlo frastornato a tal punto da non avergli dato nessuna possibilità, se non quella di lasciarsi trasportare dalla pazzia di un’insolazione: il suo turno di risposte mi restituisce positività e leggerezza, bentornata roccia
La tavola è già pronta. I soliti posti pure: Pigna spalle alla finestra, Irene, sua figlia, lato salotto ed io al centro. Scuola, fidanzatini, casa al mare… i 3 capisaldi delle nostre chiacchierate, poi il pranzo finisce, Irene se ne va al centro estivo e io e Pigna ci sciogliamo al sole tra un ricordo di zanchetta e conversazioni per adulti.

Un infausto appuntamento dal parrucchiere ci interrompe: la ricaduta dell’estate sull’estetica impone una presa di posizione netta e consapevole. La giusta interruzione tra quel fare dissoluto tra due amici che non si vedono da un po’ e la prossima seduta dalla psicologa alla quale avevo ben chiaro che quesito porre.

“Eccoci, come stai Jacopo?”, Anita, la mia psicologa, subito pronta a mettermi in carreggiata.
Bene? Male? Euforico? Non so mai come sto. Come non so mai se il “come stai?” sia un invito al pensare al momento presente, o il risultato di tutti gli eventi del passato più vicino.
“Bene, devo dire bene”, zittendo sul nascere il troppo pensare, “e prima di andare oltre, volevo leggerti una frase che ho incrociato qualche giorno fa e mi ha colpito molto, se sei d’accordo.”, perchè quella luce di prua sfumata all’orizzonte si era rilevata in realtà faro, che, dopo ogni giro di giostra, tornava a illuminare una terra da esplorare.
“Certo Jacopo, come ti senti.”
“Allontano chi mi vuole. Rincorro chi mi fugge.”, una breve pausa e mi lancio sul racconto delle mie sensazioni in merito: “come se avessi sempre bisogno di consenso… devo conquistare chi mi fugge per dare una pacca sulla spalla alla mia autostima… come se non fossi mai sazio, così vado nutrendomi continuamente del riconoscimento altrui…”
“Aspetta Jacopo. Cos’è che nutri esattamente?”
Sorrido beffardo, come chi sa, o pensa di sapere la risposta: “non lo so, ma mi verrebbe da dire il mio ego“, e finalmente cito in causa l’imputato numero 1.
Dall’altra parte dello schermo, l’espressione del viso non lasciava spazio all’interpretazione: ciò che per me era già stato individuato-analizzato-prescritto in cura, per Anita era l’altra faccia della medaglia che la mia bidimensionalità di pensiero ignorava.
“E se anzichè ingozzarti del consenso altrui, in realtà lo stessi masticando per poi sputarlo? Come un qualcosa che, inconsciamente, riconosci non piacerti, ma che continui imperterrito a farti piacere.”
Una crepa sulla mia vitrea espressione facciale stava iniziando a farsi largo tra i ghiacci di una verità sedimentata come permafrost.
“Che succede Jacopo?”, Anita partecipe della mia metamorfosi.
“Uaaaa è strano. Cioè è figo. È strano. È… non lo so, è come una vita vista da un’altra prospettiva. Che poi non lo so se ha senso, ma mi ha colpito secco in faccia.”

Non ero più Pacman famelico di mostriciattoli alter ego di attenzioni, ma Peter Pan, esploratore di un luogo che non esiste.
Da vorace carnivoro di consenso, stavo riscoprendo il dolore dell’essere erbivoro su una terra tutta cactus e pungitopo.
Mastica e sputa, in loop De Andrè nella testa.

La sessione è finita.
Spengo il pc.
E aspetto di incontrarmi, dopo essermi voluto e fuggito troppo a lungo.

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