“Cosa prendi?”, mi fa Lorenza aspettandosi tutte le risposte tranne una.
“Niente. Ieri ho sboccato.”, araldo del benessere spirituale.
“Hai sboccato?”, rivelandosi impreparata di fronte a quel tranne una.
“Un ragazzino. Manco a diciott’anni. Anzi, a diciott’anni, il lunedì, era il mio no-alcool day, figurati.”
Passa la cameriera: “Quindi sono 3 birre e un Prosecco?”
Mi giro verso Lorenza. O Lorenza si gira verso di me.
“Fai 4 dai!”, e inizio la settimana ribelle, o sconfitto.
UN SUSSEGUIRSI DI INTERRUZIONI
“E il cuoricino come va?”
Mi prendo qualche secondo per scegliere quale personaggio essere, poi mi decido: Jacopo.
“Bha, non ho niente da dire. Davvero, semplicemente non va.” e materializzo quel nulla in un silenzio.
Giulia, dall’altra parte del telefono, e dell’Italia, sembrava essere stata assorbita da quello stesso buco nero, esprimendo a non-parol”Scusa”
Alzo lo sguardo, lasciando monca la scrittura.
“Posso chiederti cosa scrivi?”, e mi ritrovo davanti un ragazzo mezzo mullet, mezzo bosco, t-shirt gialla e forse qualche orecchino a far pendant col sorriso.
“Che scrivo?”, chiedo a lui, e chiedo anche me stesso.
“Sì, bhe, mi ha incuriosito incuriosito vedere un ragazzo qui che si mette a scrivere…”
“Durante un festival trap, con un quadernetto…”, mi aggancio al suo racconto. “Guarda io qui ci lavoro: faccio assistenza tecnica per il servizio cashless; però visto che non c’è un cazzo da fare, mi sono messo qua a scrivere per portarmi un po’ avanti con il lavoro: ho un blog, e sto scrivendo il prossimo articolo.”
“Ah ma dai?! Ero sicuro che stessi scrivendo qualcosa di particolare, e di cosa parli?”
Avrò risposto centinaia di volte a questa domanda, ma ogni volta l’effetto è quello delle interrogazioni a sorpresa della Bersano (tempi del liceo, tempi di storia e di filosofia): spiazzante e divinamente ingiusto.
“Ma, di solito parto da un momento della settimana che mi ha colpito particolarmente: può essere una frase, un’ombra, la fotografia di un suono… un qualcosa, a partire dal quale, inizia poi una riflessione che chissà dove va a finire”, e con le mani mi fingo i rami di un albero con la fretta di crescere.
“E tu? Scrivi?”, restituisco il favore della curiosità.
“In realtà disegno”, mostrandomi svelto uno dei suoi mandala, “poi sì, mi piace scrivere, per lo più in rima, suonare un po’… però diciamo che il mio è il disegno.”
La musica che fin’ora aveva fatto da carta da parati di questo ridondante salotto kitsch si interrompe.
Il palco si inbuia.
I telefoni si illuminano.
“Come cazzo fa?”, rompe il silenzio tale VillaBanks, polo bianca e tutta la mia colata di pregiudizio.
Base.
Fatico a ritornare al tempo durante il quale parlavo con un ragazzo mezzo mullet, mezzo bosco, della bellezza del raccontarsi attraverso la propria modalità espressiva.
Francesco disegna mandala dal flashback fumetto.
Jacopo scrive di ciò che gli succede, trasformando un coriandolo di realtà in un piccolo carnevale.
VillaBanks…
… il mio patetico tentativo riappacificatore viene interrotto dalla saggia calma della Croce Rossa che soccorre un ragazzo accasciatosi alla mia destra.
Questa realtà è troppa per essere racchiusa tra le righe di questo quaderno.
E intanto Giulia è sfumata via.
Francesco è sfumato via.
La fotografia di un suono si è impatanata nella base trap di un festival in veneto.
Avevo bisogno di soldi.
E di tornare a sgobbare un po’.
È bello sgobbare, a volte: ti salva dalle sabbie mobili delle distrazioni.
Riavvolgo il nastro di questo susseguirsi di interruzioni.
“E il cuoricino come va?”, Giulia.
“What about your romantic life?”, Afrodite.
“Que dicen tus historia de amor en Italia? Contame cositas”, Sarah.
Il mondo nella forma di tre coinquiline, amiche, muse, vuole sapere dell’amore.
Nel giro di 36 ore, tre delle anime a me più care, tra loro sconosciute, hanno inaspettatamente convogliato le energie verso la cura di uno spazio inabitato.
Sprofondo nel bianco di un libro che non riesco a scrivere: privo di contenuti e di conoscenza.
“Niente”
“Nothing”
“Nada”
Mi confido con l’Universo sperando non parli tedesco.