Ho sognato che Rich collezionava squarci di pelle provenienti dalle sue inconsapevoli vittime.
Ho sognato l’America come un posto pericoloso, dove la polizia ti ferma e sequestra i tuoi bambini ad una pompa di benzina; dove gli uffici sono arene da combattimento e le strade sono deserte e i supermercati arancioni, senza un’entrata e senza un’uscita.
Ho poi sognato che La Julienne in America c’era già per fare l’animatore turistico: in uno stato il cui nome mi ricordava la Pennsylvania.
Allitterazioni della carne
Nella nostra tenda si fa tanto sesso. E anche un po’ di amore.
Con la scusa di una notte di massaggi, io ed Emile e Giulia e Gagoù abbiamo osato andare oltre i pensieri e le insicurezze, trasformando i piaceri della mente in allitterazioni della carne.
Tutti abbiamo pensato che presto le due coppie si sarebbero trasformate in un’unica multiforme manifestazione di amore. Ma ancora non è successo, e probabilmente non succederà.
Io, quello che so, è che lo cerco. Al fireplace, nella dining area, nella coffee station… cerco Emile sbirciando dall’angolo dei miei occhi e appena lui mi scopre sorride. Così azzeriamo le distanze e ci abbracciamo, a lungo, aspettando che i nostri respiri si allineino per poi, solo allora, allontanarci mentre io abbasso lo sguardo perché ancora sento di dovergli nascondere quanto mi piace.
Non stiamo insieme ma già mi ha lasciato: “I’ve got a boyfriend in Paris, and I love him. I know that if I allow myself to go forward with you it’ll be painful.”
Eravamo sdraiati a letto e nel sentirlo pronunciare quelle parole il mio corpo aveva cercato conforto nella distanza. Mi sono alzato tenendo lo sguardo su un punto qualsiasi che non fosse lui. Poi l’ho guardato e senza aprire bocca gli ho chiesto “perché?”. Un “perché?” rivolto più all’Universo che a lui, ricco di tutta quella frustrazione verso il mondo e verso quelle storie passate che ogni volta mi avevano visto amato e rifiutato allo stesso tempo.
In realtà scopro di avergli detto tutt’altro. Di essere ancora una volta più fuori che dentro: fuori dal dolore e dentro l’immagine del me in grado di amare incondizionatamente.
“Ok. It’s hard, but wanna respect it.”, io, un chierichetto da quattro soldi.
Quella notte, a differenza delle due precedenti, non abbiamo dormito insieme, non fisicamente.
La mattina dopo non conoscevo altro che il silenzio e una tazza di thè caldo al lower garden. Di nuovo notavo che il mio sguardo tendeva ad evitarlo: avevo paura di mostrargli il mio dolore. Non volevo più essere vittima, ma era l’unico linguaggio che conoscevo.
Ci siamo incrociati e lui ha allungato la mano: “How are you Jacopo?”.
“Well. Not good.”, e dopo qualche secondo rimasto in silenzio me ne sono andato.
Qualche ora dopo, nella laundry, i due ragazzi si sarebbero baciati.
“I can’t rexist”, avrebbe detto quello chiamato Emile.
In risposta, quello di nome Jacopo, questa volta, avrebbe finalmente alzato lo sguardo.