“You know what I’m missing?”, avevo chiesto a Joanna dopo averla intortata con le mie solite paturnie esistenziali.
“Tell me.”
“I’m missing why. I’m not looking anymore for what, actually I don’t care about what. I saw, and I’m still seeing myself doing anything, and it’s ok. But right now, what I need is why: why am I doing this? Why am I going there? You know, I’m missing the purpose. I’m moving from a place to another, doing whatever, but why?“, e avrei potuto continuare a mettere insieme parole intervallate da why, purpose, existence, self-realization bla bla bla, al solo fine di essere compreso nella mia illusoria unicità.
Joanna ascoltava. Poi era il suo turno, molto più spesso di quanto non fosse il mio, e io guidavo, costringendo la mia attenzione a polarizzarsi tra le sue parole e la strada.
Per le scuse: prego, da questa parte
“Human relationships, job, place. While I was driving to pick you up at the train station I thought: “Look! Now you’re gonna see Joanna and Afrodite. Few days ago Giulia and Gagoù came to visit you. There is Giulio in USA. All my friends here in Turin. You are lucky man!”. See, I don’t feel the need of meeting new people anymore, I wanna enjoy who’s arleady there. I wanna value our relationships.”
Era iniziato così il viaggio mio e di Joanna verso Firenze, dove ad attenderci ci sarebbe stata Afrodite (better known as Fruu).
“Oh it’s so interesting Jacopo. I can totally relate with what you’re saying. Do you think that this means becoming adults?”
Joanna era così: l’entusiasmo di una bambina viziata per la prima volta a Disneyland, e le domande di chi padroneggia la rarissima arte dell’ascolto.
“Maybe Jo, I don’t know. I don’t know.”
E mi ci sarei abituato, forse anche un po’ adagiato, all’uso di quelle parole.
Rapporti umani, lavoro e luogo: queste erano le mie priorità, anzi le priorità del mio cervello, il quale non sentiva più il bisogno di scappare e ogni volta, così, di azzerarsi.
Volevo godere delle persone che avevo intorno. Godere di tutto ciò che di bello il viaggio mi aveva donato. Volevo fare un qualcosa di mio, smettere di alimentare i sogni altrui, finalmente approfondire e riuscire a dire “no” al diverso. Volevo ospitare: non dovermi più muovere, adattarmi a delle camerate comuni o a delle tende condivise. Volevo un posto nel quale esistere anche come estensione della mia persona: dove i vinili e i bicchieri di Pastis si sarebbero confusi con i libri e i cuscini lasciati sparsi tra un’intenzione e il sorgere di un’altra.
Ero salito in macchina già stanco: la tenuta in Toscana, la Grecia, il Salone del Libro. Tantissima gente, diverse amicizie, alcuni baci, lacrime, ricordi, emozioni, silenzi… sempre le solite storie, sempre così uguali da diventare un’ossessione.
E mentre Joanna ascoltava e muoveva le mani in segno di approvazione, sentivo che ciò che stavo andando a fare sarebbe stato di certo una gran figata, anche se lontano da tutto ciò che provavo in quel momento.
Il trainer per uno Youth Exchange. Ovvero una figura educativa che per 10 giorni avrebbe supportato e creato i presupposti per un’esperienza di scambio internazionale di 50 ragazz* provenienti da tutto il mondo.
Io, che pensavo di voler fare il contadino. O al massimo lo scrittore. Alle volte anche il bartender. E perché no, pure il giornalista.
Intanto Afrodite era salita in macchina dopo aver pazientemente aspettato che io e Joanna avessimo messo qualcosa tra i denti alla solita uscita di Barberino del Mugello.
Perugia poi era stata una diapositiva interessante, ma pur sempre sfuggevole, delle serate di una volta, quando gli zii tornavano dalle vacanze e ci si ritrovava sfacciatamente disinteressati ad ascoltare i racconti di quel posto esotico che era la riviera romagnola.
La Buona Terra. Questo era il nome dell’incantevole luogo che ci avrebbe ospitato per i successivi 10 giorni.
Così si inizia. Non prima però aver conosciuto Daniele, Rokas, Santhiago, Denish e Helena: altri nomi, facce, storie da stampare nella memoria già sovraffollata.
Il primo giorno è stato un traballante ping-pong tra me e Joanna, con Fruu impegnata felicemente in cucina (ancora non sapeva ciò che l’aspettava). Jo che introduce il programma, io che faccio il the community circle, Jo che spiega chi, dove, come, perché, io che rischio lo speed dating.
Parlare davanti a una cinquantina di ragazz* tra i 18 e i 30 anni, di qualcosa che non fosse calcio non mi era mai capitato. Figurarsi in inglese. Figurarsi se poi devo farli connettere, abbracciare, giocare, piangere, sfogarsi, ballare…
“Jo I’ve no clue about what I should do: I’ve never done something like this…”, e già dalla prima serata di de-brief, iniziavo con le scuse.
“Non lo so fare. Non l’ho mai fatto. Mi avevi detto che avrei dovuto fare il driver. Sento la pressione.”, questo il mio dialogo interiore, così, tanto per mettere le mani avanti in caso di fallimento.
“Non lo so fare. Non l’ho mai fatto. Mi avevi detto che avrei dovuto fare la cuoca. Sento la pressione.”, questo il dialogo interiore di Fruu, migliore amica dell’ansia, che di training and mentoring non aveva alcuna esperienza.
“I hear you.”, era solita rispondere Joanna, facendoci a tratti credere che neanche ci stesse ascoltando.
E così avanti per giorni.
- 9:00 – 10:00: colazione + riunione con Joanna
- 10:30 – 11:00: morning with Jacopo (il mio temuto momento di introduzione spirituale alla giornata)
- 11:00 – 13:00: perso tra le file del Lidl e gli innumerevoli tentativi di ottenere una fattura per partita IVA bulgara (io che manco so cosa sia una fattura…)
- 13:00 – 15:00: pranzo vegano, che poi tanto il corpo si ribella
- 15:00 – 19:00: – “E mo’ che faccio? un po’ di sport dai… osserva stronzo! Sei qua per lavorare! Jo, hai bisogno? Fruu, ti serve una mano in cucina? Prendi la chitarra che è una vita che non suoni, o finirai per farne l’ennesimo capriccio iniziato e mai portato a termine della tua esistenza, anch’essa iniziata e non ancora portata a termine.”
– “E ci credo, sono vivo!”
– “Stai zitto, e suona! Che tanto nessuno parla con te: power dynamics something something”
– “Ancora? Di nuovo sta storia della gente intimorita bla bla bla…?”
– “Sì ancora. Ora suona che alle nacchere piace, anche se tu non lo sai, perché ti stanno a guardare dalle finestre in alto.” - Fine del dialogo interiore
- 19:00 – 20:00: cena vegana, of course man
- Serata: de-briefing e qualche birrino
- Fine della giornata
- Fine delle tensioni
- Fine delle scuse
- Fine di Jo che si carica sulle spalle il progetto, le mie lamentele, le paure di Fruu, sé stessa stanca ma forte come un toro
- Fine
- per ora