YAMAS

da | Lug 10, 2023 | Luglio 2023

“So: what worked, what didn’t work, how we feel. Let’s start our meeting!”

Iniziavano così le nostri riunioni serali: con me, Jo, Fruu e Santhi attorno a un tavolo e una manciata di birre e separare i nostri sguardi.

Prima un round di what worked, di solito il più breve… perché si sa le cose belle non attirano troppa attenzione, e quindi Yamas, alla greca, al termine di ogni turno di condivisione.
Poi uno ben più corposo di what didn’t work, con Fruu pronta a prendersi la scena, e lo Yamas sempre lì, puntuale nello scandire il tempo della riunione.

“Well, a lot of things eh…”, Jo, dimenticandosi della regola non scritta del bere allo Yamas, “so now: how do you feel in the process?”

Piano, pianissimo, quasi fermo

Il fitto orario delle nostre attività mostrava delle ragguardevoli lacune. Era assai comune infatti che, io, Fruu o Jo, avessimo del tempo libero, sempre in momenti separati.

E se Fruu poteva concedersi di svegliarsi tardi la mattina, e Jo di sedersi comodamente a tavola per pranzo, io trovavo nel pomeriggio il mio solito miglior nemico.

Non era mio compito infatti supportare i partecipanti nella creazione di gustosi pasti vegani: era roba di Afrodite questa.
E non era mi compito riunirmi con i group leaders per scambiare con loro feedback e osservazioni riguardo le attività svolte: c’era Joanna per questo.

Sport, lettura, chitarra… ecco qual era il mio compito. Ed ecco perché era così difficile indossarne le vesti.

Io che ero pagato per lavorare, e pagato profumatamente, come potevo starmene lì a godere del silenzio della campagna umbra in armoniosa compagnia delle mie passioni? Risponde il senso di colpa: “non puoi!”, con tono saccente e disinteressato a qualsiasi forma di replica.

“So, how do you feel in the process?”, avrebbe chiesto ogni sera, con metodica puntualità Joanna.

“I feel good, I mean, I still need to understand how this kind of things work.”, la prima sera.
“I feel a bit lost. I don’t know what to do.”, la seconda sera.
“I am ok! Things worked quiet good today, I did this, and this, and this…”, la terza sera.
“I feel lonely.”, la quarta, la quinta, la sesta…

Tutte le graduazioni di approccio del nuovo avevano trovato spazio nelle nostre riunioni serali: incomprensione, smarrimento, rifiuto, vittima e rassegnazione.

“I feel lonely. There are people involved in any kind of work, and I am there, with nothing to do. But beside of that, beside the material part, I feel lonely in a way that it’s set deep inside of me. I see you with your job, your documents, your dreams, some of them arleady real, some of them still in your mind. I see Fruu, with a house and a job in Amsterdam, with the chance to quit everything and take time for herself. I see people moving from a place to another carrying their only luggage. This is the way how I feel: I’m tired of living the other’s dreams. Tired of doing this job for you, the International Book Fair for Turin, working in a farm for that guy and so on… I wanna do my things!”, avrei condiviso una di quelle sere, “There is a lot of silence. And I know, I wanna stay with it.”.

Yamas

Ma sarebbe stata all’ottava sera la grande rivelazione. Sarebbe avvenuto di fronte a uno Spritz Campari, due birre bionde e un Amaro Montenegro all’unico bar aperto del paese, il cambio di rotta.

“How do you feel Jo?”

“I feel that we’ve reached the peak. Today the system’s got his full amount of energy. I am super tired, and at the same time I feel surrendered. It’s like we’ve been wondering all this time on our own way, but today we’ve met at the same point. I don’t know how to explain but it has a link with destiny. Beyond the fog, there is a way that only destiny can show us. I am sure that the biggest part is done. Now we just need to keep sailing.”

Ero rimasto incantato da quelle parole, da quel suo corpo steso sul divano del locale, dalla stanchezza esausta con la quale muoveva le sue mani. Sentivo che aveva ragione. Credevo nel the system. E la parola destiny era rimbombata forte nel petto.

Saremmo poi tornati in fattoria una mezz’oretta più tardi. Fruu e Santhi a passo svelto, come il loro essere, curioso e vivace. Io piano, pianissimo, quasi fermo, come avrebbe detto Sior Pignani.

“When you were talking, a question came to my mind, but I don’t know if I can ask…”, mi avrebbe raggiunto Jo inaspettatamente.
“Jo! Please.”
“Who is cheering for your loneliness?”
Un sorriso. La solita beffarda smorfia a prendere il controllo delle mie labbra. Poi una decina di metri in silenzio, con Joanna che condivideva con me lo stesso ritmo dei piedi sull’asfalto.
“Destiny”, avrei poi trovato il coraggio di rispondere.
Un abbraccio.
“I feel better now that you hugged me.”
“Thank you Jo!”

Yamas

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