“Lei è ancora frustrato?”
“Sì professore!”, mentre mi incaponivo nel riuscire a fare una trofia.
L’impasto, ormai asciutto, non scorreva sul marmo.
La mano, troppo pesante o troppo leggera, si inciampava sulla consistenza fredda dell’impasto.
Cavallo accanto a me mi diceva che era facile.
Sonia dall’altra parte mi mostrava come fare muovendomi la mano.
Io mi sentivo un idiota.
Un idiota frustrato.
Il vuoto
Nella ultima settimana due persone mi hanno detto la stessa cosa.
Due professori, di quelli che non sanno di essere anche altro.
Lei Erika, da Ibiza, durante una call per un’opportunità di stage nella più famosa delle Isole Baleari; lui Fulvio, montanaro alle volte troppo pieno di sé, coraggioso nel venirmi a parlare durante una pausa in classe.
Entrambi a forzare sullo stesso punto, facendo breccia in un sorriso: un po’ contesto, un po’ verità.
Con Erika ci siamo sentiti ad inizio settimana: io, lei e Mr. Dean. La finalità della chiamata era stata quella di creare un ponte tra me e un’organizzazione dell’isola per valutare insieme se vi fossero i presupposti (o la chimica, come diceva lei) per gettare le basi di un periodo di stage.
Ibiza non mi chiama. Se non fosse per la suggestione di poter imparare lo spagnolo, non ho ancora trovato nessuna forza tale da rompere quest’equilibrio per costruirne un altro altrove.
In ballo una sorta di finca, lavoro della terra, vendita diretta, eventi e il bisogno impellente di comunicare tutto questo alla comunità locale: eccolo qui il ponte, la comunicazione.
Sì, perché se ci provo, e non è affatto detto che ci riesca… se ci provo ad immaginarmi lontano, nel futuro di quei 5 mesi di stage, mi vedo coinvolto e immerso nella divulgazione; ed è per questo che Erika ha pensato a Mr. Dean: “hanno bisogno di qualcuno che racconti quello che fanno, e ho pensato che tu potessi essere la persona giusta.”
Ma Ibiza non mi chiama.
Con Fulvio, invece, più diplomazia: lui professore in piedi davanti alla cattedra, io studente irrequieto tra i banchi di scuola. Tanti i test: quanto sei intraprendente?, come utilizzi il tempo?, distingui priorità da urgenza?, qual è il tuo metodo di apprendimento?… altrettante le difficoltà nel riuscire al vedersi da fuori per poi, solo poi, valutarsi. Il risultato: un ridondante per nulla. Una sequela di schiaffoni gratuiti e autoindotti. Non ero felice quella mattina.
– come valuti la tua capacità di Autodisciplina e resilienza? per nulla
– come valuti la tua capacità di Autodeterminazione? per nulla
– come valuti la tua capacità di Creazione di valore? per nulla
– come valuti la tua Autostima? per nulla
Allora due sbracciate: l’ultima spiaggia in quella moria di riferimenti.
“Se tu dovessi consigliarmi, ma ti chiedo di non darmi adesso la risposta, a fine stage sarebbe opportuno che io abbia acquisito delle competenze rivendibili sul mercato o un portfolio?”, io a Erika, confuso, a fine chiamata.
“Professore, il problema è che io non ce l’ho un obiettivo. Oggi sono forte, domani pure: mi organizzo, porto a termine le tasks prefissate, studio, lavoro, pago l’affitto, faccio sport… ma non ho una direzione. Non ho la più pallida idea di dove stia andando.”, io a Fulvio, forse stanco di essere me.
La risposta: una, la stessa, sempre la solita.
“Sei troppo nella testa Jacopo. Lasciati sentire. Immagina le varie opportunità, visualizzati in esse e poi ascolta le sensazioni del corpo. Stai nel vuoto, respira e chiedi supporto. Chiedi segnali e sii pronto a coglierli. Qual è il tuo bene superiore? Hai già tutto dentro, e tutte le occasioni che si stanno manifestando fanno tutte parte del tuo percorso. Non cercare di costruire con la mente. Non cercare di affrettare il passo. Senti. Ascolta. Stai nel vuoto.”
Nella ultima settimana due persone mi hanno detto la stessa cosa, ed io, ciclicamente, ricasco nella sfiducia del pensiero.
Avevo bisogno di quelle parole ripetute due volte. Avevo bisogno di scriverle, per renderle materia e farle mie.
Ora ho bisogno di tempo, di spazio, di vuoto.