VENTIMIGLIA-MARSIGLIA: 2 PRIMO TEMPO

by | Aug 19, 2025 | Agosto 2025

“Stiamo bevendo pastis a Marsiglia!”, ho interrotto Pippo dal suo pianificare la prossima tappa.
Stiamo bevendo pastis a Marsiglia, ho realizzato senza interrompere niente e nessuno dal proprio affaccendarsi.

Au Petit Nice è la Bat-Caverna delle mie personalità.
Equidistanti dal tavolo, rigorosamente quadrato, Pippo e Pera scrollano su Komoot in cerca di dati, strade, acquasantiere dalle quali riempire le proprie borracce.
È lunedì, i bar sono aperti, i giovani affascinanti e vivaci: le loro facce dorate riflettono le luci di un’estate già prossima ai saluti. “È assurdo che dal 21 giugno le giornate inizino già ad accorciarsi”, penso sulla soglia del secondo pastis.
Se alzo lo sguardo mi innamoro.
Ma se non lo alzo, che ci sono venuto a fare a Marsiglia?

LO SAI CHI VINCE IL GIRO D’ITALIA?

Marsiglia è arrivata dopo 270 km di bicicletta: tre giorni a comporre ritmo sui pedali.
Ritmo che trova ostacolo ad ogni millimetrica variazione di pendenza.
Da Ventimiglia a Montecarlo è la prima imprecazione: dopo 5 minuti Pippo che sparisce in salita e io già che mi sento zavorra. Zavorra di un viaggio che è fatto di tempi e di velocità diverse. Zavorra di un’amicizia che rischia di arenarsi nel malsano disequilibrio del sempre al rincorrersi, sempre ad aspettarsi.

“Il navigatore mi dice che dovevamo prendere una strada sulla sinistra, ma io non ho visto niente”, dice Pippo a Pera.
“Ma quale strada? A me dice di qua!”, dice Pera a Pippo, mentre io mi godo quell’attimo di sosta rubata alla tecnologia.
Un incrocio segna il passaggio tra gli inferi e il paradiso: in un mondo al contrario, dove il paradiso sta in basso, sul finire di una discesa tutta curve vista mare, e l’inferno, boh, l’inferno in salita…
“Excusez-moi”, bracco una signora in macchina mentre Pippo e Pera giocano a RisiKo con le loro strumentazioni GPS, “para Monte Carlo avec le velò?” in un esperanto di idiomi e gestualità apparentemente universali.
“Ici”, un sorriso e il volto che indica il paradiso.
La prima discesa di un viaggio in bicicletta è la pacca sulla spalla di un vecchio amico che senza fronzoli ti dice che andrà tutto bene.
Monte Carlo ha all’asfalto più bello del mondo.
Menton il pain au chocolat migliore di Francia.
Nizza il mercato, i datteri, il sole, il vento a favore…
Antibes un momento di tensione e una birra a 12.50€
Cannes… Cannes è autoscontro a cielo aperto.
Poi un bagno a mare Théoule-sur-Mer, e una crisi figlia della fame e della voglia di distendersi per un momento ad ascoltare la forza di gravità abbracciare un corpo stanco.
“Ancora 11 chilometri”, mi fa Isco (o Pera, due nomi per la stessa persona), quando mi aspettavo ne mancassero solo un paio. Io crisi, lui gambe.
Io crisi, Pippo gambe.
In bicicletta c’è ben poco da fare: si pedala e basta; e così facciamo, a centinaia di metri di distanza fisica ed emotiva. E quando dopo eoni di tempo li raggiungo dall’altro lato del mare, insieme abbiamo già deciso che non andremo al lago: 110 km sono abbastanza per potersi concedere un cambio di programma. Rubiamo un parcheggio al Camping Agay-Soleil, mentre il suono delle birre che si stappano è il preludio di una corta e fresca notte a fare da spot pubblicitario tra questa e la prossima pedalata.


Svegliarsi all’alba è la missione dei guru della produttività del 21esimo secolo.
Svegliarsi all’alba è il nutrimento dello spirito dei santoni di ogni angolo del globo.
Svegliarsi all’alba è il fardello di chi fa della strada il proprio pavimento, e di una bicicletta il proprio divano/scrivania/cucina/stanza in affitto/non posso ospitare…

Seduto ad occhi chiusi, davanti ad un’acqua nera e ad un cielo arancione, medito con le dita socchiuse, mentre Pippo e Pera sognano sullo sfregarsi dei materassini sulla plastica. L’epilogo, sarà poi il medesimo: pantaloncini attillati, occhiali a specchio e via a disegnare infiniti cerchi nell’aria con le gambe.
Due pain au chocolat e un americano, la colazione di Isco.
Un pain au chocolat, un pain suisse e un tentativo di cappuccino, quella di Pippo.
Un croissant e un americano, la mia.
Le divergenze si apprezzano di più a stomaco pieno.

A ‘na mezza piotta de chilometri, ci sentiamo degli adoni, pronti a riscrivere la storia del cicloturismo contemporaneo: sono appena le 11 del mattino e non c’è più distinzione tra il telaio dell’uomo e il corpo della bicicletta. La musica dopa le gambe e tempra la pazienza di una playlist Spotify condivisa (atto eroico di intima condivisione), mentre seguiamo con feroce veemenza la solita indicazione: Le Lavandou. A metà, della mortadella avanzata e il solito rinforzino di burro e zucchero: la mia psicosi da disturbi alimentari vacilla dinnanzi al famelico soft porn con il quale i due centauri divorano la loro overdose di carboidrati.
“Cochina?”, fa poi uno all’altro, nella commutativa proprietà di interscambio di ruoli.
“Cochina”, fa l’altro a uno, rincarando la dose di un deplorevole misfatto.
“Analogica?”, smorzo io, maneggiando goffamente l’usa e getta in cerca di un complice.

Poi altra bici, un po’ di mare: giusto il tempo per passare dal sudore al sale, all’acqua dolce delle fontane.
A Cavalaire-sur-Mer affondo i miei sensi di colpa su una docile insalata, trascinando i miei fidati nella medesima avventura low calories. Messo KO dalla fibrosa consistenza vegetale e dall’invasivo dolce della cipolla, Isco, come in punto di morte, rivela al mondo tutta la sua grandezza: “Lo sai chi vince il Giro d’Italia?”, mi domanda prima di esalare l’ultimo respiro.
“In che senso?”, io, ignaro dell’epilogo di quella conversazione.
“Il Giro d’Italia non lo vince chi va più veloce, ma chi reagisce meglio al proprio giorno di crisi.”

Boato dall’aldilà.
Silenzio tra noi, comuni mortali.

Poi ci alziamo, e a turno andiamo a fare la cacca e a sostituire il costume col pantaloncino a volte sexy, a volte Ragioner Fantozzi, da ciclista.

Ancora una notte in tenda.
Il mare.
Il pastis.
La meditazione.
Ogni giro di pedale è uguale a sé stesso proprio come tutte le unità di misura del tempo.
I minuti, come le ore, come le giornate, si ripetono uguali, ritmate dai luoghi e dalla fame: uniche grucce alle quali appendere i ricordi.

Il giorno dopo saremmo arrivati a Marsiglia: Pippo per riempirsi gli occhi dei colori di Le Panier, Isco per riposare un ginocchio infiammato di dolore, ed io per esaudire uno dei miei sogni più umani e crasti. Bere pastis nella Napoli di Francia, sognando l’elicottero di Fellini sorvolare con un Cristo esotico su La Plaine, la piazza, o il libro, più bello di Francia.

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