ALMENO QUI

by | Nov 1, 2025 | Novembre 2025

“Como zanahorias para no fumar. En plan…”, Lucas, da Valencia, e da una porzione di un qualsiasi abbraccio dato/ricevuto, “…porque es como si fuera una acción contraria al hecho de fumar.”

Mangio carote per non fumare, ascolto, osservando l’angolo smussato della cucina.

E se anch’io iniziassi a mangiare carote per smettere di fumare?

Non funzionerebbe. Non amo mangiare prima di andare a letto.
Né tantomeno intigere le sigarette nel hummus.

Con buona pace di Dostoevskij

Vestirsi eleganti per mettersi a scrivere è un atto dovuto per chi crede ancora nelle buone maniere.
È vero, aspettare che tutto il tavolo abbia ricevuto il proprio piatto prima di iniziare a mangiare, non farà di te una statua in qualche angolo del Gianicolo.
E guardarsi negli occhi durante il brindisi non disinnescherà l’incedere di nessuna maledizione.
Il fango rimane sporco, nonostante sia un prezioso alleato delle piante.

L’osservatorio delle ingiustizie sociali dichiara che il linguaggio rappresenta la prima discriminante, conscia e non, a partire dalla quale nascono le definizioni.
A leggere questa frase mi viene subito in mente l’Arc de Triomphe di Parigi. E quella piazza a partire dalla quale mille strade, mille vite, mille rapporti di vicinato nascono e crescono sgomitando per una saracinesca in più.

Non c’è motivo per smettere di suonare all’angolo tra l’Av. Marceau e la Rue Galilée.
Anche se i soldi sono sempre meno e i turisti sempre di più.
Passeranno di moda i croissant ultrasfogliati e iperburrosi.
E torneranno di moda le buone maniere.
Quelle che si travestono per il gusto effimero della bellezza.
Con buona pace di Dostoevskij: perché la bellezza, il mondo, non lo salverà mai. La bellezza è tale proprio perché il mondo finisce. Altrimenti non ci sarebbe nessuna poesia scritta sull’orchestra che continua a suonare nonostante il Titanic stia affondando.

Chiedere a chi a Parigi ci ha vissuto.

“La visione che ho di me stesso è totalmente deformata”, mi inchiodo dopo che sia Lorenza sia A. mi hanno dato del piccolo Velociraptor. A me, che ero convinto di essere uno Stegosauro: lento, innocquo, chill 🍃
“Ma va, è normale! La visione che abbiamo di noi stessi è sempre diversa da quella che gli altr hanno di noi”, fermo e sicuro A, dall’alto dei suoi 26 anni.
“Ma dai, ma io sono chill. Guardalo!”, mostrandogli la foto dello Stegosauro de Alla ricerca della valle incantata, “quant’è bello?”
“Questo è quello che ti piacerebbe essere Ja. Ma tu sei un Velociraptor.”, tagliente come la scheggia di un guscio d’uovo.
“Ma il Velociraptor è carnivoro!”, non capacitandomi di come possa io uccidere e sbaranare un altro essere vivente.
“E allora un Velociraptor transgender!”
“Un Velociraptor transgender”, ripeto per autoconvicermi della mia nuova identità.

E quindi?, mi domando. Dove sta il reale?
Quando ci incontriamo davvero?

Forse a Parigi. Nello sguardo di uno sconosciuto. Di un tale che non sa nulla di noi.
Ecco. Forse è lì che iniziamo piano piano a levarci la pelle del serpente che non siamo mai stati, per indossare chissà… magari un boa di struzzo, o il berretto da Capitano Uncino.
Dovremmo smetterla di conoscerci prima di parlarci. Così perdiamo un sacco di occasioni per essere uno tra tanti: tra i tanti noi.


Nessuna di queste parole è stata forgiata con intenzionalità o premeditazione.
Il gesto è il seguente: mi siedo, accendo il pc, accendo una candela, accendo la musica, mi vesto elegante, e scrivo.
A volte mi interrogo sul cosa.
Altre sul cosa è stato: dal passato attingo spesso per trarne ispirazione.
Altre lascio che sia altro a decidere: forse le dita, o il flusso interrotto dal primo vagito al momento della nascita.
E seppure mi interroghi sul senso, mi torna in mente la promessa che mi feci quando iniziai ad essere averynormalguy: almeno qui, sii libero.


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