Giorno 1 senza caffeina.
Scrivo dal mio solito tavolino di ORSO – Laboratorio Caffè.
So benissimo come mettermi in difficoltà.
Ordino un orzo + americano.
Al momento dell’ordinazione non sapevo ancora che sarebbe stato il Giorno 1 senza caffeina.
“Orzo + americano?”, mi fa, l’avrei scoperto poi affabile, cameriere.
“Eh boh, sta scritto là: orzo filtrato + americano”, indicando con la mano la voce del menù scritta sulla parete.
“Ah certo, scusami. In realtà il + americano si riferisce a tutti coffees”
La versatilità del + americano mi spiazza.
L’affabile cameriere sferruzza la mia indecisione con dita sapienti: “Ma tu hai mai provato il nostro orzo? È un orzo un po’ particolare…”
“E sia”, senza troppi indugi.
Accendo il computer felice di aver scoperto che oggi sarà il mio Giorno 1 senza caffeina.
Ma dopo pochi istanti: “Ho una brutta notizia: l’orzo è finito”, mogio mogio Mr. affabile.
“Vuol dire che era buono!”, festeggio il suo successo.
Ride lui.
Sorrido io.
E finisco col bermi una cioccolata calda all’acqua: acida, lunga, astringente.
La cioccolata più funky che abbia mai provato.
Nessun ORSO è stato malmenato durante la stesura di questa recensione non richiesta.
A SPROPOSITO
A volte mi chiedo se dovrei iniziare a recensire il cibo.
La risposta è: “di cibo ne sai troppo poco, Jacopo.”
E mi taccio.
Giorno 1 senza caffeina.
Quando ormai avevo finito di scrivere.
La cioccolata funky era ormai una tazzina finita in lavastoviglie.
E le mie perplessità sulla bontà di questo articolo si facevano elefantiche.
L’affabile cameriere mi si è avvicinato con fare proprio affabile: “Senti maaaaa… visto che siamo in chiusura, e abbiamo delle brioches invendute, che ne diresti se te ne regalo una?”
Giorno 0 senza zuccheri.
Al diavolo i sensi di colpa di una dieta bilanciata: stanotte è Luna Piena.
Torno a casa a piedi, con un cornetto alla marmellata nello zaino. Ormai i piedi hanno sostituito le ruote della bicicletta: è tempo di letargo e la stagione impone lentezza e contemplazione. L’aria fredda e pungente della neve si incastra negli anfratti lasciati liberi dalle pieghe del giubbotto. In risposta incasso il collo tra le scapole, dando vita ad alterazioni posturali che il mio feed di Instagram spamma come il male assoluto. Ci vorrebbe più calma, penso mentre affondo le dita sulla tastiera.
A casa ciondolo tra le 18:35 (troppo presto per cenare), il buio (troppo tardi per andare a correre), un libro (troppo mattone per questo cervello affamato di stimoli rapidi e inconsistenti) e il telefono (troppo hipster per chi si veste da santone).
Non voglio bere.
Non voglio fumare.
Non voglio impelagarmi in storie da ascoltare.
Eppure penso a chi potrei scrivere per un fugace aperitivo.
Nella mia contraddizione fallisco, ma prendo tempo e, dopo essere giunto all’epilogo di Nexus (lascio due righe alla fine dell’articolo, come se fosse il mio quaderno degli appunti: per ricordare, più che per divulgare), divido una melanzana in due, e poi le due metà a cubetti: una parte la friggo, l’altra va in forno. Se solo Galeno fosse a conoscenza dell’ereticità della mia cucina, a quale dio rivolgerebbe le sue preghiere? Approfitto del tempo di attesa di tale guazzabuglio per bagnare una padella con della salsa di soia, per poi scaldarci del riso sopra. Ancora ignoro l’aspetto bellico della mia cena, ma lascio fare all’intraprendenza dell’inconscio che, un attimo prima di gettare i cubetti di melanzana impanati nell’olio, mi indica il freezer: menta! Prendo la menta, la taglio a striscioline e la lascio lì, sul tagliere.
Finalmente posso friggere.
Così, friggo.
Mi aspettavo più rumori. Più bolle. Più pareti gocciolate dall’olio.
Invece niente. Pure l’olio è incerto su quale profilo essere.
Mentre i cubetti si indorano, rubo dal forno l’altra metà della melanzana: di questo sentore un po’ smoky decido di farne una crema. Aggiungo olio, sale, pepe, menta, tahina e limone. Il mixer cigola un po’. Altro olio. Ora va meglio.
Rinvengo da questo trip di pura e mistificante coscienza.
Davanti a me vedo del riso imbrunito dalla salsa di soia.
Dei cubetti di melanzana indorati e fritti.
Una crema imperfetta che sa un po’ di affumicato.
Mischio tutto.
Senza esitazione.
Sul piatto aggiungo, kitsch, della scorza di limone.
Mi siedo al tavolo, da solo.
Il televisore 22” trasmette Bologna-Parma di Coppa Italia.
Mangio senza troppa fame, ma con fare famelico.
Dopo il gol di Castro, il piatto si svuota, la pancia si riempie e io mi sento di nuovo in colpa: non ho asciugato i cubetti fritti di melanzana nello scottex.
Esco per una passeggiata?, mi chiedo per stimolare la digestione.
No, finisco il libro e mi giro una zanchetta, risponde il me ancora vittima della scoperta.
Esco sul balcone, e mentre fumo, vedo le nuvole riflettere il bagliore della Luna Piena.
La cerco tra i comignoli dei tetti della Torino borghese, ma a separarci ci sono almeno una ventina di metri di cemento.
Fumo, ricordando a me stesso di farlo con calma.
Non soddisfatto dell’articolo scritto da ORSO, penso che potrei approfondire il tema della vita adulta.
Ma la noia, il silenzio, l’attrazione per l’altrove mi inchiodano a letto, con il libro da finire e il cellulare in mano.
Fa che resista, fa che resista, fa che resista… sussurro alla Luna.
E crollo, dopo aver impostato la sveglia alle 7:25.
La sveglia suonerà fra 9 ore e 2 minuti.
Da Nexus ho imparato che:
- Il collante del mondo sono le realtà intersoggettive. Praticamente tutto è finzione che si tramuta in racconto. Lo era l’animismo in epoca preistorica, lo era Zeus, Giove o chi per loro in epoca greco-romana, lo era il cristianesimo, l’Islam e tutte le altre religioni monoteiste belle cazzute, lo era l’imperialismo, il colonialismo, il comunismo, il nazismo, e oggi lo è il capitalismo.
Sono tutti racconti che tengono uniti i pezzi del mondo. - Ogni volta che c’è stata una rivoluzione dell’informazione, è cambiato il mondo: dall’invenzione della scrittura, alla stampa, dalla radio, il telegrafo alle moderne tecnologie di fine anni ’90. E ciascuna rivoluzione è come fosse inciampata nell’incapacità della gestione del suo potenziale: la scrittura ha dato vita alla schiavitù; la stampa alla caccia alle streghe e alle guerre di religione; la radio all’imperialismo e al nazismo; le moderne tecnologie… chissà.
- La differenza con l’IA è che l’IA non è un’intelligenza organica, bensì aliena: ossia decide per sè (dal latino alienus, che significa “appartenente ad altri” o “estraneo”), basandosi su comportamenti umani, dei quali talvolta, noi stessi non siamo a conoscenza.
- “mai evocare poteri che non si possono controllare”





