UN LUOGO MITICO

por | Feb 17, 2025 | Febbraio 2025

“Lo sabes por qué?”
“Por qué qué?”
“Por qué para nosotros, los italianos, es más fácil aprender otro idioma?”
“No, dime.”
“Porque no somos colonizadores. Ellos, los españoles, los franceses… ellos están acostumbrados a que, donde van, pueden llevar sus cosas: sus culturas, sus idiomas… y esto porque históricamente han sido colonizadores. Lo llevan en la sangre. Nosotros, que ni siquiera hemos podido colonizar el desierto, estamos históricamente acostumbrados a la adaptación. Me entendéis?”, e ne seguì la discussione di una tesi sull’antropologia dell’interazione culturale, mentre la sua ragazza lo guardava con occhi di gatto e, proprio come un gatto, strofinava la coda sulle nostre giacche, per assicurarsi che anche noi fossimo ammaliati da tanta retorica.

I bar sono un luogo mitico, a partire dal suo significato etimologico:

Dal greco mỳthos (“parola, racconto”), […] il m. è funzionale alle forme di esistenza della comunità.

Encoclopedia Treccani

WHAT IS COOL?

“To me she’s a bit weird, what do you think?”, ormai sfatto, provando a riavvolgere il nastro della serata, mentre Thibault e Gobi, in piedi davanti a me, personificavano il teatrino dell’angelo e del diavolo sulle spalle.
“She isn’t weird”, prese la parola Thibault, il diavolo, “she just isn’t cool, that’s why maybe…”, e mi ero accorto che avevo già smesso di ascoltare.
Poi il rinsavimento. Una parola aveva azionato la chiusura del circuito per il passaggio degli elettroni: “She isn’t cool? What is cool?”, e mentre aspettavo una risposta avevo già incalzato con un ulteriore fascio di luce: “you must define it, otherwise there could be a gap in the communication.”, e lento mi ero rimesso al sostegno della panchina de Plaza del Centenar de la Ploma.
“Cool? Cool?”, classica presa di tempo di chi è maestro del teatro dell’improvvisazione, “Cool is like… when you have a strong personality. That’s cool. Cool is true. Cool is real. We’re cool…”, cavalcando l’onda emotiva di una risposta convincente.

Il dialogo era ormai diventato due monologhi: quello di Thibault a sostegno della sua tesi sulla coolità delle cose, e il mio, nel rimbombo della mia testa già piena della nebbia dei fumi della serata. Una struttura a doppia elica di due filamenti tenuti insieme dalle basi azotate delle nostre sovversioni.

Sovversione /sov:er’sjone/ s. f. [dal lat. tardo subversio -onis, der. di subvertĕre “sovvertire”]. – [profonda e violenta alterazione di un ordine costituito, spec. nell’ambito sociale e politico: la s. delle istituzioni] ≈ capovolgimento, eversione, rovesciamento, sconvolgimento, sovvertimento, stravolgimento.

Enciclopedia Treccani

Chiedo supporto alle definizioni, e nel farlo, scopro che quello che doveva essere un punto, si trasforma nell’inizio dell’ennesimo flusso di coscienza.

Perché in quel momento, sovversivo ero io: io che parlavo della mia responsabile cercando approvazione tra i miei amici per non approvarla; io che sentivo il mio ego gonfiarsi al ritmo degli afflati della parola cool attribuita alla mia persona; e io che, in quanto a Homo Sapiens, costruivo barriere sociali nell’illusione di poter frammentare il mondo, così da poterlo meglio controllare.

Tante sono le influenze in questo periodo.
Tanti gli stimoli che s-modellano la latta della mia personalità.
Mi stavo riconoscendo come cibo, sesso e spiritualità. Ma oggi, ad un mese e mezzo dall’inizio dell’anno della trasformazione, riscopro la mia quotidianità costellata di musica, violenza ed antropologia.

La fotografia di quel bagliore raccontava di tre ragazzi, di notte, nella ricerca scalzonata di un qualcosa: poche ore prima avevamo dato il via al nostro primo evento e, poche ore dopo… poche ore dopo ci saremmo gettati ad occhi chiusi nella struttura di un futuro incoscientemente programmato.
Vini&Vinili, o qualcosa del genere: a partire da questo incastro avrebbe dovuto prendere forma l’evento. Di mezzo una cantina del 13esimo secolo, e di mezzo il San Valentino: due occasioni che, seppur anacronostiche, avevano scavato gli argini per il fluire del nostro “volerci raccontare.” La risacca mi avrebbe svuotato dagli entusiasmi di un risultato pienamente sufficiente, ma lontano dall’alfabeto a partire dal quale avrei voluto costruire le mie parole: è strano quando la realtà ti restituisce la discrepanza.

“Allora che te n’è parso?”, mi aveva chiesto Melissa quando ormai dovevamo solo più spazzare a terra.
“Mmm, penso che sia andato bene, anche se non era questo ciò che avevo in mente.”
“Ci sta, ti capisco. Però è un inizio no?”
“Sono d’accordo. Ma è un po’ come se facessi un film e la gente mi dicesse: ‘che bella questa canzone!’ “


“We have to find a connection between music and wine. I’m stuck in thinking about the location, and the target.”, due giorni dopo, discutendo con Thibault mentre un pessimo Vermouth scandiva i tempi del nostro parlare.
“Yeah, I know what you mean. And I think that live music will be better then mixing vinyls.”

Il flamenco aveva interrotto il nostro parlare, e, se questo fosse un libro, la vista di una ragazza, la nostra amicizia.


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