IL RESTO SGASA

por | Abr 15, 2025 | Abril de 2025

“Vamos a tomar una cerveza después de escalar?”
Domanda senza punto interrogativo, lanciata da Sarah a noi altri, coi tendini dei polsi già sgualciti.
Perlustro la reazione a un mio “sì, ma vicino casa”: il caos.
Così cedo, e ci vado lo stesso.

“Hacemos una jam esta noche en el piso?”, domanda Sarah dimenticandosi della Luna Piena.
Non ho voglia, ma dopo un fallito depistaggio fatto di bisogni condivisi e di diritto al sonno, cedo: “Vale, està bien”, rispondo.

“Mañana hacemos algo? Invitamos gente?”, mi provoca a sua insaputa Thibault. Io penso che vorrei solo riacciuffare le mie cose prima che mi scappino dalle mani, ma anche sta volta non mi spiego, e glisso con un silenzio quella potenziale conversazione.

Torno negli spogliatoi con la coda tra le gambe, domandandomi in fondo se sono io ad aver vinto, sconfiggendo l’ego che mi vuole in controllo su ciascuna situazione, o se sono gli altri ad aver fatto bottino annichilendo qualsiasi tentativo di apertura dei miei bisogni reali.

Un sonoro 3 a 0 per un qualcuno contro qualcun’altro.

APPUNTI DA UNA DEGUSTAZIONE

“Espero que vos haya gustado la cata. I hope you enjoyed.”, smorzando il ping pong linguistico in essere ormai da un paio d’ore nella mia corteccia frontale posteroinferiore sinistra.

Avrei dovuto fare solo il mattino.
Poi “Te quedas tú para la cata de esta tarde?”
Ma veramente…, ingurgitando anatemi contro quel fare che per giustificarne l’esistenza, avevo etichettato come culturalmente spagnolo.
Così chiudo la porta dell’ufficio alle 15 e la riapro alle 17, con un intermezzo di Morty che mi aiuta a portare 6 bottiglie di vino a casa, pronte per la dipartita in Italia: una per Maurino, che ha smesso di bere, una per Rotella, che qualche giorno di maggio fa gli anni, una per Salvini, che è troppo tempo che le regalo solo abbracci, una per Simon, che mi paga bene, è simpatico e ha una vigna in Abruzzo, una per Rich, che sia mai che ci apriamo qualcosa assieme, una per Cava, nella speranza che mi ricompensi con della Rosmarina, e le altre per felicità a momenti e futuro incerto.
Alle 18 si presentano due ragazze: “In english or in espanyol?”, domando senza neanche presentarmi.
“Espanyol.”, mi guardano con ovvietà.
Cazzo… la degustazione era stata riservata in inglese. E già mi aspetto qualche dimenticanza con le prenotazioni.
E mentre sto per iniziare la visita, bussano alla porta altre 3 ragazze from the United States.
“In english or in espanyol?”, ritento.
“Spanglish?”, osa una di loro.
“Vale”, cosciente che la mia testa dovrà fare a cazzotti con un gruppo di bulli chiamati stanchezza, scarsa memoria, rabbia, frustrazione.
Infilo le chiavi nella toppa per accedere alla cantina che: “Hola, we’re sorry for the delay.”
Oh fuck! Two more?!
“In english or in espanyol?”, domando ormai in loop.
“Mmm… better in english if it’s possible.”
“Yeah no problem!”, salpando sui mari dell’incoscienza.

Racconto la storia del luogo saltellando con metodo da una lingua a un’altra, cercando di non dimenticare i contenuti, né la maniera di esprimerli.
Sopravvissuto allo sballottamento iniziale, navigo sereno sulla scia di tre vini da presentare e degustare insieme al mia cartina geografica di donne sedute al tavolo. Così mi siedo anch’io, e in tutta informalità, iniziamo questo viaggio: un Reymos Classico, dal colore amarillo brillante e dalla narice fruttata, anticipa il corpo ingombrante del Mala vida di Arraez, per poi scivolare di nuovo tra le bolle di una Marina Alta 100% Monastrell. Un’escursione fatta di idiomi e stili degustativi differenti, che ha trovato la sua narrazione convergere nella semplicità di un’unica forza propulsiva: l’apertura alla curiosità.

“Espero que vos haya gustado la cata. I hope you enjoyed.”, concludo ormai certo di aver portato a casa la pelle.
“Sorry, but I’d like to share my personal experience with these wines.”, mi interrompe la ragazza bielorussa seduta alla mia destra.
“Please, go for it.”, facendo del mio sgabello un divano.
“Well… you spoke about aromas, flowers, fruits… you know, all those things very ‘wine edition’. I’d like to share how I perceived these wines:
the first wine, the Reymos, reminds me of a wedding party, with this welcoming vibe, very inclusive and joyful.
The second one, the red one, to me was super heavy. That’s why I said ‘submarine’ before: because it’s something very deep, and it brings me to an official ceremony, maybe a military one.
And the third one, the sparkling rosé, was definitely an artistic performance, like a can-can, or even better, a show at the Moulin Rouge in Paris.”
Woooow, avrei voluto dire.
“Woooow, thank you! I love your way of expressing your own experience! This is exactly what I mean when I invite people to create a new way of talking about wine, more inclusive, more open, more free. Honestly, thank you.”, e tutta quella stanchezza, quella scarsa memoria, quella rabbia, quella frustrazione, sembrava essersi fatta sgasata come i nostri bicchieri ormai svuotati dai loro significati.

Sparecchio, mi cambio e chiedo al mio corpo un ultimo, ulteriore sforzo: vai a correre Jacopo, parlo con me stesso come se fossi uno sciamano, ma anche il mio personal trainer.
Mi butto nel parco del Turia, inconsapevole che potrebbe essere l’ultima volta ed affido alle gambe e alla musica la responsabilità di muovermi lontano.
Il corpo è una macchina troppo lontana dai limiti che si autoimpone la mente, vagheggio sperduto tra piccoli baobab e laghi artificiali.
Morty mi ha insegnato il regalo perfetto, ritorno alla materia, ripensando a quel Palo Santo offertomi come ringraziamento per la mia ospitalità.

Proprio quando stavo cercando un regalo da fare ad Afrodite prima della sua partenza per il Messico. Spettinato tra il lavoro, il treno preso al volo per Madrid, una notte lunga 3 ore, e di nuovo il treno per Valencia per ritornare a parlare di vino la mattina seguente. Pensa Jacopo, pensa: cosa puoi regalarle?, e niente. I negozi che passano accanto come finte foreste fuori dai finestrini, l’oscurità che chiude loro le serrande, e Afrodite che rivendica la sua paura per questo nuovo grande viaggio nella celebrazione di un’amicizia.
“88€? Are you crazy?!”, dopo averle inviato lo screen del treno che avevo appena comprato per il pomeriggio del giorno seguente.
“Afrodait, you are my friend: if you tell me that you’d like to have aperitivo together before leaving for Mexico. Me, as a friend, I’ll do the best to be there with you.”
E fanculo il portafoglio.
Le ore di sonno.
Il capo a lavoro che mi guarda storto.
I sensi di colpa.
Le birre.
Le sigarette.
Il mancato regalo.
Il dormitorio per 12.
E l’ansia di non sentire la sveglia il giorno dopo.

Sono amico dei miei amici.
Sono antropocentrico: l’uomo al centro, il resto sgasa…

… come i nostri bicchieri ormai svuotati dai loro significati.

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