QUEL TANTO AGOGNATO VERMOUTH

par | Oct 30, 2023 | Ottobre 2023

“Una pazza settimana, ed è ancora l’alba di sabato sera”, scriverebbe il me ventiduenne ancora affezionato ai fuochi d’artificio del fine settimana.

Sì, ma con ordine

Domenica è uno champagne mancato, anzi prima promesso e poi mancato. Lore ha preso casa e io gli ho rotto tanto il cazzo con l’inaugurazione che poi alla fine ha ceduto: l’ha fatta.
“Io porto lo champagne!”, siluro al suo invito, salvo poi fare tardi coi saluti a Bergolo, fare tardi a Torino, fare tardi alla festa e ripiegare, per fare più in fretta e tagliare il passaggio da casa, su due Ichnusa e una Ceres, quest’ultima comprata per me e ovviamente finita tra le grinfie del Pigna.

Lunedì non bevo, ci provo e ci riesco. Corro, tanto, acchitto un humus spaziale per i miei e mi eclisso in mansarda: vorrei riuscire a scrivere. Fallisco. Finisco a studiare: salvato in corner.

Martedì sfuma e si sovrappone a mercoledì. Sento Salvini, c’è. Sento Maurino, c’è. L’Italia non pervenuta, schiaffi dagli inglesi. Renna e Ama già stanno là, al Jumping. Il pub Jumping sembra essere l’unico punto di raccordo tra le voglie di tutti, tranne la mia che direbbe Vermouth. Me ne dimentico in fretta, e mi ubriaco con Maurino. Salvini in tanto ha lasciato il posto a Marylin (quella del “sembriamo delle fragoline in una serra”, un articolo che non ho mai scritto) e il Jumping a Botz. Niente più birre, ma vino naturale, che io e Maurino sappiamo bene come farci del male. Parte So we won’t forget di quel gruppo impronunciabile. Drizzo il collo a tal punto che il “presidente” se ne accorge, si avvicina e stempera: “hai buon gusto ragazzo!” Il presidente è un fauno metà uomo metà ragazzo, vestito più da uomo che da ragazzo però. Un cliente di Botz, abituale bevitore bevitore di Chartreuse.
“Conosci Maurì?”, rigiro la domanda, questa volta riferendomi al liquore francese.
“Mai provato.”
Finiamo il vino, e finiamo lo Chartreuse.
Decido, senza saperlo, di riaprirmi una ferita vecchia di una settimana.
“Ma quella è da punti!”, forse consiglia Marylin, a quel punto l’unica sobria.
In un arco di tempo non definito finiamo al pronto soccorso: Del prima, del durante e del dopo non ricordo niente, e neanche Maurino.
Il giorno dopo, che è ancora quel mercoledì misto a martedì, mi sveglio con un dito fasciato, gonfio e fasciato. Mi sveglio anche con della strana voglia di sboccare, che anni fa avrei detto hangover, ma devo aver dimenticato anche un po’ di inglese.
Il pomeriggio è da studenti: io, Marylin e Maurino a casa di Salvini a far finta di studiare, mentre mangiamo focacce e beviamo tisane.

Giovedì è finalmente giovedì. Ho il test di ammissione alla scuola per diventare gastronomo. Non ho studiate niente, ho fatto bene: l’esame è una passeggiata. Nel pomeriggio segue il colloquio orale con i professori: “Bene Jacopo, dal curriculum si vede che hai viaggiato un po’, raccontaci un po’ delle diverse esperienze.”
“Bla, bla, bla…”
“Ecco, ora sai che questo percorso di studi è interamente finanziato dalla regione, per questo motivo ricerchiamo profili altamente motivati a portarlo a termine. La domanda viene spontanea: ti senti pronto a fermarti per due anni a Torino?”
Dì loro quello che vogliono sentirsi dire. Dì di sì.
“La mia psicologa mi avrebbe fatto la stessa domanda.”, esordisco incapace di trattene un sorriso, “No, cioè, non lo so. Non lo leggo il futuro, non so cosa succederà da qui ai prossimi due anni. Certo, l’intenzione c’è, poi chi lo sa…”
Si chiude il sipario.
“Le faremo sapere.”
Prendo la bici e pedalo sotto una preannunciata pioggerellina. Prima tappa: Lo Sbarco: mangiata coi soliti Marylin e Maurino. Com’è dura essere vegetariani a Lo Sbarco però. Poi mostra fotografica di Dario Phanelli, che io sto Phanelli l’ho conosciuto da qualche parte ma vattelapesca dove… Lui. Lui si ricorda. La memoria degli altri è memoria di tutti.

La memoria degli altri è memoria di tutti.

Mi cito, mi piaceva. Assai.

Non perderti. Eravamo alla mostra fotografica di Phanelli. Poi birrino col collettivo Sinapsi che ospita la mostra, saluti e ancora bici. Per poco. Giusto il tempo di cadere, infradiciarmi i pantaloni e riprendere la corsa: c’è la mostra di Elena che mi aspetta. Elena, se avesse la mia età le chiederei di uscire insieme. Ma rimane bella, come bella è la sua mostra e le 28 mele gialle di casa Weber. A un certo punto dice: “non mi si vede, ma se non ci fossi mancherei”. Io le credo, l’abbraccio forte e la ringrazio, perché essere artisti è un gesto coraggioso, e le lascio in tasca un “ci rivediamo?”. Le sento pronunciare un “Sì”, e sono contento.

Venerdì mi voglio bene. Dormo poco: il dito fasciato e gonfio pulsa ancora. Non demordo: faccio sport, leggo e riprendo a lavorare a un documentario che avevo lasciato in stand-by prima di partire per la vendemmia in Francia. Fino a sera sto a casa: ci sto bene, ma starei bene anche fuori.
“Turin?”, azzardo un messaggio ad Alex.
Ci abbracciamo e finalmente si racconta. Mi fa tornare innamorato dell’atto dello scrivere e mentre torno a casa faccio attenzione a quell’inattesa felicità.

Sabato c’è il sole. C’è mia sorella a pranzo. C’è una bella corsetta al parco. C’è il risultato del test della scuola di gastronomia: ammesso.

Sei pronto a fermarti due anni a Torino?”
Alzo lo sguardo: la risposta la so, e finalmente mi godo quel tanto agognato Vermouth.

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