DUE DONNE CON LE ALI

da | Ott 24, 2025 | Ottobre 2025

“Ma sei toscano?”, Francesca Chicca, rinunciando al camice da psicoanalista.
“Nato e cresciuto a Torino”, ormai da repertorio. Poi attimo di suspense: “Ma sì, ho origini toscane. Tu? Pure del centro Italia vé?”
“Toscana, Grosseto.”
E dopo aver impostato lo schermo, Francesca Chicca si era trasformata in Francesca: “Mi dica 2-3 cose che vede osservando queste immagini.”, facendo del lei la bacchetta magica di questa sua transizione.

E galeotta fu la mia fantasia.

“Due donne che si baciano, due donne con le ali…
… un quadro di Kandinskij, com’era? Il carnevale di Alrecchino, no? Oppure aspetta, forse un cespuglio pieno di insetti: le formiche, quelli che sembrano delle foglie, quelli tipo forbice… wow non so neanche un nome di insetto…
… uno scettro, o della pelle d’animale conciata…
… oddio ma questa è una ballerina, con le scarpette e i cosi, come si chiamano? Tipo gli scaldamuscoli.”

“Va bene Jacopo, abbiamo finito.”
Fine.

Sarei potuto stare ore ad annoiarla mostrandole gli stanzini delle mie cervella.
Senza mai scoprire qual è l’animale che mi porto dentro.

QUANDO SI SMETTE DI ESSERE VORACI?

Mentre il sabato si sta rivelando uno di quei grandi classici mai letti: bello, bellissimo, ma sempre in ritardo al cospetto della vita. La domenica è il giorno della pazzia di Piero, il mio capo. L’uomo al comando, in maglione e camicia, mani curate e lo sguardo a sinistra.

Con un omaggio della casa, alle 6:37 di domenica mattina siamo in macchina: io, Piero e Gaia, che la vita adulta definiribbe colleghi di lavoro.

– Quando si smette esattamente di essere voraci?

Me lo chiedo dopo un paio di venerdì sera passati, sobrio, a casa.

– Quando si smette esattamente di essere voraci?

Me lo chiedo quando, sulla Torino-Piacenza noto che non ho più la paura di essermi perso qualcosa a curvarmi le spalle: i brunch della domenica, il compleanno del Mou, la street parade, il pranzo in famiglia… non c’è più nulla a spiaccicarmi la faccia sul finestrino mentre mi illudo di poter contare tutte le balle di fieno che costellano i campi della Pianura Padana.

Eppure… eppure giusto il giorno prima, un viaggio, satirico, metafisico, inutile ai fini della storia del pianeta, me l’ero concesso. Con il van ridotto in cenere dai moti di rotazione della Terra, avevo deciso che le 5 di pomeriggio erano un buon orario per salire sul Lago del Moncenisio, in Francia. Con il cambio rotto, il baule rotto, il portafoglio rotto, mi ero messo in marcia convinto di trascorrerci la notte: avevo voglia di montagna, quella fredda e austera che ti spezza le lacrime dagli occhi. Un dolore acuto, ma necessario per sgranchirsi il sorriso. Dopo una prima ora di viaggio trascorsa in silenzio, decisi che un po’ di musica me la sarei comunque potuta concedere. Poco male. E poco bene. Tutto piatto come l’aria gelida e immobile dei quasi 2000 metri di altitudine. Giunto sulle sponde del lago, subito mi resi conto che stavo iniziando a mettere in discussione le mie intenzioni: 3 gradi, con ancora uno spiraglio di sole a tiepidare le rocce.

La notte il panico.
Il rifugio chiuso.
Fame.
Freddo.
Buio.
E nessuna esitazione nel rimettermi in viaggio verso un altro letto, che non fosse il mio.

Ad accogliermi Afrodite, lei che il van ce l’aveva fermo, parcheggiato in giardino, pronto al suo lungo e vero viaggio verso il nord d’Europa.
“Ma quanti gatti c’hai?”, le avrei chiesto il mattino, stordito dal prrrrr sul petto di un cumulo di peli nero.
“Four!”, iniziando ad elencarmi i nomi.
“Well, I slept with all of them I guess.”
Poi un caffè. O forse no. No, acqua e miele. Avevo mal di gola, e acqua e miele si sposava meglio con una sigaretta.

Volevo smettere di fumare, ma sto periodo va così: sono troppo tanto buono con me stesso da concedermi la cura e lo spreco, a distanza di un attimo di consapevolezza.
Mangio dolci tutti i giorni, e vado a letto presto.
Fumo quasi tutti i giorni, e stanco, faccio sport dopo lavoro.
Esco, dormo poco, dormo fuori, dormo dentro, ma il venerdì ho voglia di stare a casa, con una candela accesa a scrivere dei giorni passati.
Se qualche settimana fa era la contraddizione il tema. Oggi la contraddizione è l’essenza. E forse non dovrei neanche più chiamarla contraddizione; bensì abbraccio. Uno smisurato abbraccio che ora accoglie quelli che prima erano i poli della mia unità di misura del mondo. E chissà quali saranno adesso i nuovi muri contro i quali mi scaglierò quando avrò bisogno di farmi del male, per giudicarmi un po’ e riconoscermi instancabilmente in qualcosa.

Per ora, mi limito a tornare dal Vndima festival in Slovenia*, con una cinquantina di assaggi di vini naturali in più, e zero, proprio zero, sigarette addosso. Senza nessuna voglia di scivolare nel patetico, né di volare sulle ali dell’illuminazione. Voglio starmene, così, con Piero, il mio capo, un uomo buono, dall’umorismo tagliente (nel quale mi riconosco molto), nei confronti del quale ancora mi sento in soggezione, e Gaia, principessa, che all’inizio guardavo con diffidenza, ma ora non vedo l’ora di abbracciare quando alle 18 y pico scatta l’ora del cosa si fa dopo l’ufficio?

“Volevo proporvi un aperitivo”, ci fa Piero, a fine riunione.
“Quando?”, io già mi immaginavo a casa, a fare sport, e morire stanco a letto.
“Oggi, il tempo di chiudere due mail. Che devi fà? Devi annà a correre?”
“No, c’ho la psicologa oggi.”
“E allora niente. Tu ci vieni Gaia?”
“Dove?”
“Da Cou Cou”
“No dai, aspè. La faccio qui in ufficio la psicologa, e poi andiamo. Va bene?”
“Va bene.”

[…]

“Mi dica 2-3 cose che vede osservando queste immagini.”
La Luna. La pace. La stabilità.

*ah consiglio non richiesto:

  • Il Graf Sauvignon di Muster è un inno al bosco e alla sua eleganza nell’essere silenzioso e potente allo stesso momento.
  • Il Legionär di Schnabel è una condanna. Con lui c’è un prima e un dopo: la vita prima del Legionär, e la vita dopo.
  • La Malvasia di Štekar è la cosa giusta. Sempre. (o comunque la meno sbagliata)




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